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17 Aprile 2012

Affido diurno. Un’esperienza diversa

Tre ragazze raccontano a Digi.TO cosa vuol dire prendersi cura di un minore o un ragazzo disabile per alcune ore a settimana.Giulia Ongaro

Affido diurnoQuando si parla di affido, si pensa sempre a un bambino che viene tolto da una famiglia disagiata e inserito per un tempo limitato in un nucleo familiare più accogliente. In realtà, molte volte per aiutare chi non vive situazioni semplici c’è una soluzione meno traumatica, ovvero l’affido diurno educativo. Si tratta solitamente di educatori o altri adulti che, selezionati dai Servizi Sociali delle varie Circoscrizioni (o dei Comuni della Provincia di Torino), si offrono per seguire un minore in difficoltà, oppure disabile, per un numero variabile di ore a settimana.

Per saperne di più abbiamo parlato con tre ragazze sotto i 30 anni che hanno esperienze di affido diurno: ci hanno raccontato cosa vuol dire avere un affido diurno e quali sono le difficoltà nel dover diventare una figura importante per una persona in difficoltà. La prima delle nostre intervistate è Valentina, ligure di nascita ma torinese di adozione, che ha fatto la Suism ma ha sempre lavorato con minori e disabili; Serena invece vive a Piossasco e sta terminando Scienze della Formazione, mentre Giovanna è psicologa e vive a Chieri. Gli “affidatari” possono quindi essere persone molto diverse e, come ci hanno spiegato, diversi sono anche i motivi per cui un bambino viene affiancato a un adulto che faccia da supporto ai genitori.

Come spiegheresti l’affido diurno?
Valentina: «E’ un intervento educativo, che si può svolgere a favore di minori, anziani o disabili. Solitamente quando ci si propone per il servizio si può esprimere una preferenza. I bambini vengono seguiti fino ai 18 anni, ma dall’adolescenza gli affidatari sono solitamente adulti con molta esperienza, che possano avere un forte ruolo educativo per loro».
Serena: «Si tratta di seguire un minore che vive una situazione di disagio, con progetti di vario tipo: nel mio caso, si tratta di stare con il bambino per nove ore la settimana, per aiutarlo nello studio, nei compiti e nelle attività ricreative».
Giovanna: «In pratica si seguono dei minori segnalati dai servizi sociali per problemi scolastici o familiari e che sono affidati a una persona adulta che deve svolgere un compito rieducativo. Io seguo da più di un anno lo stesso ragazzino, ma dallo scorso settembre aiuto anche una bimba».

Come si fa a diventare affidatari?
V.: «A Torino una volta erano gli assistenti sociali a tenere i curricula dei candidati, o lavoravano con il passaparola, riuscendo sempre a trovare l’abbinamento migliore tra il volontario e il minore. Ora invece c’è una banca dati gestita da una società simile a quelle per il lavoro temporaneo, perciò capitano anche persone non troppo indicate o con poca esperienza».
S.: «A Piossasco, Beinasco e dintorni i servizi sono gestiti per conto del Comune dalla Cooperativa Cidis, che segue una quindicina di bambini, tutti segnalati dai Servizi Sociali. I progetti vengono rinnovati ogni anno a seconda dei fondi».
G.: «A Chieri gli affidatari sono gestiti dai Servizi Sociali. Purtroppo qui non è necessario avere particolari titoli: una precedente esperienza con i bambini è preferita, ma non è obbligatoria per essere messi in lista».

È difficile cooperare con gli altri adulti che seguono il tuo affidato?
V.: «Io sto seguendo un minore e un disabile e quando si tratta con persone che hanno anche problemi di salute la difficoltà maggiore è che i tutori sono spesso persone che non comprendono bene quale sia davvero la problematica. In questo caso l’affidatario deve rappresenatare un amico in mezzo a tante persone che accudiscono e basta».
S.: «I bambini sono spesso segnalati dai Servizi Sociali, ma a volte sono i genitori a chiedere aiuto, come nel caso del bambino che seguo, per cui tra me e loro c’è collaborazione. Altri miei colleghi, però, hannio genitori che sono diffidenti, probabilmente perché il solo termine “affido” fa temere che il bambino possa essere portato via».
G.: «Non si riesce a parlare con tutti: per esempio, si incontrano gli insegnanti solo se la segnalazione ai Servizi Sociali è partita dalla scuola. Con i genitori bisogna riuscire a creare “un’alleanza”, facendo leva sul senso di responsabilità, far capire che sei lì per dare una mano e non per giudicare».

Cosa diresti a qualcuno che vorrebbe diventare affidatario?
V.: «È un’esperienza che consiglio a tutti, ma serve un po’ di elasticità mentale sia per adattarsi all’affidato, e non il contrario, sia per essere pronti a gestire i propri orari rispetto ai suoi».
S.: «Se si vuole lavorare con i bambini è utile perché è un’esperienza in più, anche se in realtà è un po’ come avere un figlio, un bambino che dipende anche da te e a cui devi organizzare riposo, studio e attività».
G.: «Direi quello che hanno detto a me per convincermi, cioè che è un’esperienza che dà molto dal punto di vista umano, anche perché si lavora con altre persone che solitamente hanno esperienza con i bambini».

Link utili:
Tipologie di affido 
Cooperativa Cidis
Casa dell’affidamento – Comune di Torino

Avete mai pensato di diventare affidatari? Se già lo siete, avete voglia di raccontare la vostra esperienza?

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Categorie: Intercultura

Commenti (2)

  1. Antonella Spina ha detto:

    Buongiorno, lavoro nel sociale da 20 anni, sono oss e psicomotricista, sarei interessata ad un affido.
    3478041319

    • Silvia Bruno ha detto:

      Buongiorno, il nostro è solo un articolo che racconta questa possibilità; se è interessata dovrebbe rivolgersi ai Servizi Sociali.

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