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24 Luglio 2012

Storia di Marcella, da Torino al CERN

Intervista ad una ricercatrice piemontese che lavora come fisico sperimentale a Ginevra e ha una cattedra a Londra

Federica Spagone

In seguito alle importanti scoperte scientifiche che hanno interessato il “Large Hadron Collider (LHC)” – l’acceleratore di particelle in azione al CERN di Ginevra – abbiamo intervistato la piemontese Marcella Bona, 38 anni, fisico sperimentale e ricercatrice che lavora stabilmente al CERN  nel progetto ATLAS e ci ha raccontato la sua storia e le nuove scoperte.

Che studi hai condotto qui a Torino?
«A Torino, nel dipartimento di Fisica Sperimentale mi sono prima laureata ed ho poi conseguito il dottorato su un esperimento che si svolgeva in un laboratorio dell’Università di Stanford in California. A Torino ho fatto 4 anni di post-doc, contratto di ricerca a tempo determinato, come assegnista, continuando a lavorare all’esperimento di Stanford, e dopo sono espatriata: Francia, Svizzera e Gran Bretagna. Attualmente ho un posto accademico in una università di Londra, equivalente alla figura del ricercatore/professore associato qui in Italia. Ma oltre ad essere un fisico sperimentale mi diletto anche a fare un po’ la teorica o meglio la fenomenologa, il che significa occuparsi di creare una connessione tra teoria ed esperimento».

Raccontaci di come sei arrivata al CERN
«Sono arrivata al CERN nel 2007 con il mio terzo ed ultimo post-doc. L’esperimento in California si avviava verso la fase conclusiva e, dopo 9 anni di lavoro e più di 300 articoli pubblicati, per me era ora di iniziare a lavorare al CERN dove l’LHC (Large Hadron Collider) stava per iniziare a funzionare. Dal punto di vista della mia carriera e dell’esperienza è stato un passaggio naturale anche se ovviamente faticoso. Ho mandato il mio curriculum e il mio progetto di ricerca nell’ambito degli esperimenti del CERN. La mia domanda, insieme a quella di altri ricercatori è stata prima selezionata da una  commissione nazionale e poi da una commissione del CERN che ha stilato una graduatoria finale e mi ha assegnato nel  2007 una “reserach fellowship”. Però avrei potuto anche avere un contratto con una qualsiasi università che fa parte di uno dei due esperimenti ed avrei iniziato a lavorare ugualmente al CERN, dove c’è una minoranza di circa 2.600 dipendenti tra tecnici, ingegneri, informatici e personale amministrativo e  più di 10.000 “users”, utilizzatori del reattore, che sono fisici provenienti da tutte le università del mondo».

Da poco avete annunciato la scoperta di una nuova particella subatomica, il Bosone di Higgs: potresti spiegarci bene di cosa si tratta e perché potrebbe essere così importante?
«Diciamo che ci troviamo da quarant’anni ad avere una teoria chiamata Modello Standard, che descrive le forze fondamentali, gravità a parte, in modo abbastanza efficiente. Per “efficiente” intendo che questa teoria viene testata e migliorata da centinaia di misure ed esperimenti dei fisici di tutto il mondo, e per tutto questo tempo ha retto ad esami sempre più accurati. Nonostante la teoria fosse piuttosto completa, fino ad ora ne mancava una parte: di per sé prevedrebbe che tutte le particelle che conosciamo ora e che continuiamo a misurare debbano avere una massa nulla. Invece noi conosciamo queste particelle molto bene, sappiamo misurarne la massa e sappiamo che certamente non è “zero”.  E quindi il Modello Standard fino ad adesso era come un enorme piramide rovesciata che doveva tenersi in piedi su una punta inesistente. Il bosone di Higgs è la punta della nostra piramide, finalmente abbiamo collocato il pezzo centrale del nostro puzzle. Insomma, il meccanismo di Higgs introduce l’elemento indispensabile che fa acquistare a tutte le particelle la massa che noi misuriamo sperimentalmente. Questo è un punto di svolta non perché ora capiamo proprio tutto ma che abbiamo trovato una base solida».

Tu di cosa ti occupi al CERN?
«Gli esperimenti che sfruttano le collisioni generate dall’LHC sono quattro. Di questi, due sono quelli più grandi, ATLAS e CMS. Io ho iniziato a lavorare in CMS dove sono stata nei due anni di impiego al CERN. Poi quando mi hanno offerto un posto accademico a Londra sono passata ad ATLAS e ora sono “user”. Dal punto di vista del lavoro non cambia nulla: il CERN fornisce l’infrastruttura per fare fisica ma si lavora tutti insieme. Ora mi occupo di tre tipi di analisi e in generale ogni analisi deve cercare, tra tutte le collisioni avvenute, quelle che hanno creato uno specifico insieme di particelle. Io mi sto dedicando a misurare accuratamente un fenomeno che coinvolge il bosone Z, la cui conoscenza accurata è fondamentale in sé ed in altri campi, come per gli studi sul bosone di Higgs. Inoltre, sono la coordinatrice per ATLAS dell’analisi per la ricerca di un fenomeno finora mai misurato: è un decadimento molto raro di una particella che si chiama mesone B, che potrebbe essere la chiave per la comprensione della differenza tra materia ed antimateria. Ovviamente ora che lavoro in un’università oltre a fare ricerca con l’esperimento ATLAS, devo anche tenere corsi universitari  e dividere il mio tempo tra i doveri di didattica e la ricerca».

Hai qualche consiglio per i giovani universitari che stanno intraprendendo il tuo stesso percorso?
«Domanda molto difficile. La mia visione dall’estero è che le università italiane erano e continuano ad essere tra le più valide al mondo. I nostri studenti imparano di più e meglio, fanno più ricerca e raggiungono livelli di esperienza e di conoscenza altissimi. Però poi hanno molte difficoltà a restare in Italia e quindi spesso si trovano ad emigrare se vogliono continuare a fare quello per cui hanno investito tempo e denaro. Questo è un lavoro estremamente interessante, mai monotono, assolutamente gratificante, per me una vera passione, quindi per me è stato obbligatorio e naturale inseguirlo all’estero. Forse l’unica cosa che posso dire è che se si vuole fare sul serio il fisico bisogna essere piuttosto tenaci, lavorare duro ed essere flessibili dal punto di vista della vita privata».

Link Utili:

CERN

ATLAS

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