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12 Dicembre 2012

Destinazione Africa

Ilaria, giovane laureata in Geologia, ci offre la propria testimonianza di tesista e lavoratrice nel continente nero.

 Matteo Tamborrino

africa

Ilaria Giorgis racconta la sua esperienza lavorativa in Africa

Recenti statistiche hanno confermano le preoccupazioni di molti studenti delle università italiane: soprattutto i futuri laureati in scienze della terra, discipline umanistiche e di ambito pedagogico-educativo stenteranno a trovare un posto fisso. Tuttavia, nonostante il clima così cupo, c’è chi decide coraggiosamente di reinventarsi e di guardare in faccia il sole. Quale sole? Il più caldo che si possa immaginare: quello che batte cocente sui terreni africani.
L’Africa ha da sempre affascinato moltissimi viaggiatori: d’altronde, già nell’antichità Plinio il Vecchio diceva che «dall’Africa c’è continuamente qualcosa di nuovo» – da scoprire, si potrebbe aggiungere. Oggigiorno accanto ai turisti e ai viandanti, il continente nero offre spazio anche ai ricercatori, agli studenti e ai loro numerosi progetti. È questa la storia di Ilaria Giorgis, laureata lo scorso anno presso la Facoltà di Scienze dell’Università degli Studi di Torino.

Cosa ti ha spinto a partire?
«Descrivere la mia scelta di vivere un’esperienza di questo tipo non è facile: certamente è molto introspettiva. Un viaggio in Africa è soprattutto un sentiero per scoprire sé stessi, perché ci si vede proiettati in un contesto nuovo, da cui si deve ripartire da zero costruendo ogni cosa: equilibri, certezze, la routine, insomma. Elementi che non hai, ma che sono fondamentali per star bene quando si è lontani da casa, dalla famiglia e dagli amici. La voglia di fare un’esperienza all’estero, di migliorare la conoscenza di una lingua, di conoscere nuovi usi, costumi e tradizioni e di conciliare tutto ciò con lo studio e, perché no, in prospettiva futura, con un lavoro, sono aspetti che da sempre mi affascinavano».

Quando sei partita la prima volta?
Il 15 aprile 2011 sono partita per preparare la tesi del 5° anno di Geologia Applicata all’Ingegneria e all’Ambiente: destinazione Ouagadougou, Burkina Faso. Era la prima esperienza africana e la prima volta fuori di casa per vivere da sola. Numerosi i dubbi e le paure, tanto più che ad attendermi c’era un ambiente non europeo, quindi si aggiungeva anche la preoccupazione di non farcela ad adattarsi in un contesto così radicalmente diverso da quello in cui sono nata e cresciuta: “Chissà come sarà vivere lì?” mi domandavo continuamente. Ma l’euforia e la voglia di partire per una meta da tempo ambita hanno prevalso su ogni altra insicurezza».

Dopo l’esperienza in Burkina, sei ripartita sei mesi fa e fai ritorno in Italia soltanto ora. Che cosa ti ha insegnato questa nuova permanenza in Africa?
«Innanzitutto premetto che per entrambi i casi è stata l’Università a fornire sia i contatti, sia la possibilità di creare convenzioni con altri atenei esteri, per cui ritengo fondamentale il suo contributo. Per quanto riguarda nello specifico questo mio secondo viaggio, è stato piuttosto differente dal primo: sono infatti partita con una borsa di studio universitaria, in collaborazione con enti pubblici e privati per la cooperazione internazionale, il progetto Uni.Coo, che consente a studenti laureandi, neolaureati, dottorandi e borsisti di fare esperienza di stage in paesi in via di sviluppo. E così sono approdata in Senegal. Questi mesi mi hanno offerto la possibilità di far capolino nel mondo del lavoro, permettendomi di scoprire la cooperazione internazionale, le Organizzazioni Non Governative e le varie istituzioni locali, dal Comune al Consiglio Regionale, dal Catasto ai vari Uffici tecnici locali e certamente la crescita, oltre che personale, è stata anche professionale».

Che difficoltà hai incontrato durante la tua vita africana? E quali, invece, le opportunità?
«All’inizio non è stato semplice integrarsi: è normale sentirsi “spaesati”, ma l’accoglienza che ho ricevuto sia in Burkina Faso, sia in Senegal è stata davvero qualcosa di inequiparabile. Lavorare insieme con i ragazzi africani ha fatto emergere alcune questioni interessanti: noi “europei” siamo infatti abituati a fare tutto di corsa. Insomma, siamo più per la quantità che per la qualità e così facendo tendiamo a perdere anche il gusto delle cose. Questa è stata una delle più grosse difficoltà che ho riscontrato in Burkina, dove avevo tempi stretti e la consegna della tesi alle porte. Ma d’altro canto, se vogliamo vedere il rovescio della medaglia, questa loro tranquillità spesso un po’ flemmatica ti permette di assaporare e apprezzare la vita in maniera più piena e serena. Di opportunità non è semplice scovarne, ma l’idea di scrivere la tesi all’estero è comunque una grande occasione: poter condividere, anche se solo per qualche mese, esperienze di vita quotidiana con studenti di altre nazionalità, confrontarsi e il lavorare insieme per conseguire un obiettivo comune, il migliorare la propria conoscenza di una lingua straniera sono solo alcuni dei molteplici vantaggi che derivano dallo sperimentare situazioni di questo genere».

Cosa ti sei portata a casa di questa esperienza?
«In Italia torno soprattutto con una mentalità molto più aperta e sensibile nei confronti di alcune tematiche con le quali altrimenti non mi sarei rapportata, rimanendo qui a casa. L’Africa è una terra stupenda che sa accoglierti e riempirti il cuore di una gioia sincera e indescrivibile. In cuor mio spero e mi auguro di continuare la vita da “pendolare” ancora per un po’!»

Link utili:
Progetto Uni.Coo

Vi affascina l’Africa? Ci andreste per finire gli studi o lavorare?

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Categorie: Intercultura

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