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18 Aprile 2013

Appino live all’Hiroshima per il suo esordio solista

Il cantante degli Zen Circus domani sul palco di via Bossoli, supportato da un gruppo che unisce il meglio della musica italiana

Matteo Fontanone

Appino

Andrea Appino, leader degli Zen Circus, è all’esordio solista con il disco  “Il Testamento”

Venerdì 19 aprile all’Hiroshima Mon Amour Andrea Appino, voce e chitarra degli Zen Circus, presenta il suo primo lavoro solista, “Il Testamento“.
Oltre a una sezione testuale di tutto rispetto, più introspettiva e profonda rispetto alla produzione Zen Circus, Appino ha fatto molto parlare di sé per una produzione musicale la cui qualità in Italia, allo stato attuale delle cose, si riscontra di rado. Nell’intervista di seguito Appino parla a Digi.TO del suo esordio solista, che sta ricevendo ottime critiche in ogni angolo dello stivale, e delle motivazioni per cui dopo sedici anni con gli Zen fosse così importante far uscire un lavoro tanto intimo e personale.

Nell’album ci sei tu, con la tua infanzia, il rapporto con tuo padre, la provincia, i ricordi: perché uscire con un disco tanto introspettivo e difficile?
«Il desiderio di fare un qualcosa di mio e solo mio si è sviluppato negli anni, tanto che un paio di canzoni dell’album sono addirittura molto antiche. Il presupposto è che solitamente scrivo più di quello che posso produrre, soffro di sovrascrittura. Ci sono dei pezzi che si sono sviluppati nel corso degli anni ma che ho accantonato perché sentivo lontani dagli Zen, testi che parlano della mia storia personale o di persone a me vicine, ma senza l’ironia propria degli Zen Circus. Quelli del Testamento sono brani più densi dei miei canonici: quando abbiamo deciso di fermarci un anno l’idea di un progetto solista è stata immediata, e anche se a lavoro finito è come se mi fosse uscito un concept album ben studiato, ha fatto tanto anche il caso».

Hai scritto dieci brani pieni di parole, di rabbia ma anche di dolcezza: scrivere un disco solista può aiutare ad esorcizzare alcuni demoni?
«In realtà l’esorcizzazione dei demoni è una parte importantissima del Testamento, era la mia speranza e si sta rivelando realtà. Che io abbia delle questioni irrisolte nella mia famiglia è fuori discussione, ma sono convinto che anche le migliori famiglie siano disfunzionali. Venendo da due dischi degli Zen Circus che puntavano il dito verso ciò in cui ci imbattiamo tutti i giorni nel mondo del reale, questa volta il dito ho voluto puntarlo da solo contro di me, continuo a pensare che siamo ancora il peggior nemico di noi stessi. All’inizio ero un po’ preoccupato, non avevo mai cantato i miei sentimenti con questa serietà, ma fino a quando la musica segue una scia naturale come questa, le cose non possono che andare bene».

Per il disco hai chiamato qualche amico: Teatro degli Orrori, Afterhours, A Toys Orchestra. Che sensazioni ti ha dato lavorare al tuo esordio da solista con il meglio della musica italiana indipendente?
«Mi sembrava stupido fare un disco da Zen Circus senza Zen Circus, era doveroso allontanarsi dai paesaggi sonori consueti. Suonando così tanto ed essendo sempre in giro i tuoi amici diventano i musicisti, le persone che hanno collaborato con me sono più che semplici colleghi, con loro si è creato un bel rapporto. Era una vita che pensavamo di fare qualcosa insieme, questo gruppo che si è formato è frutto del caso ma molto affiatato. Il disco suona diverso da come l’ascoltatore si aspetterebbe: il mio è un discorso sul passato, e alle parole sul passato si associa il tipo di musica che ascoltavo da piccolo, gruppi americani dal suono discretamente pesante. Suono con gli Zen da sedici anni, loro per me sono una grande trincea, portare in giro materiale del tutto diverso senza proteggermi con il loro nome per me è una sfida».

Cosa si prova a realizzare che la parte più intima di te dopo l’uscita del disco sia alla mercé di tutti?
«Ad essere sincero penso di essermi salvato: io sul palco ci sono sempre e mi mostro, talvolta con ironia e talvolta, come in questa mia esperienza, più seriamente. Per il Testamento si trattava solo di proseguire il percorso già iniziato con gli Zen, anzi è stata una liberazione: ho visto troppo spesso persone a me vicine chiudersi a riccio, non aprirsi mai e un bel giorno implodere. Questo a me non è mai successo, le persone all’ascolto sono il mio grande terapeuta, è come se andassi in terapia ma fossi pagato per farlo. Senza contare che scrivendo cose su di me riesco a mettere giù la realtà delle cose con più lucidità, alle persone che mi ascoltano racconto cose che magari farei fatica raccontare alla mia ragazza».

Il Testamento è un album scritto in italiano, ma con gli Zen Circus inizialmente i testi erano in inglese, qual è la tua esperienza in merito?
«A me spiace molto che non ci siano entrambe le cose: di band che suonano alla grande in italiano ce ne sono, e ci mancherebbe altro, ma band che fanno il grande passo all’estero suonando in inglese invece latitano. Per come sono fatto non mi sognerei mai di dire “devi suonare in italiano perché sei in Italia”, è doveroso provare a cercare il successo all’estero e per farlo devi scrivere in inglese, e lo dice uno per cui De André ha scritto testi migliori di Bob Dylan. I ragazzini che suonano in inglese spesso non provano a scrivere in italiano perché si sentono protetti dal velo della lingua straniera. Senza contare che esistono gruppi che attualmente scrivono cose in inglese molto valide, ma in questo paese pochi si prendono la briga di capirli e tradurli. A noi Zen Circus è andata così, una buona fetta dei miei ascolti sono i cantautori italiani e dopo qualche album in lingua straniera volevo scontrarmi con loro sulle parole per vedere cosa sarebbe successo, ma non è obbligatorio. Credo che ognuno dovrebbe seguire le proprie inclinazioni».

Link utili:
Pagina Facebook di Appino

 

Conoscevate Appino come cantante degli Zen Circus? Il lavoro solista del Testamento vi incuriosisce?

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Categorie: Musica

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