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19 Settembre 2013

Fra Torino e Milano, una vita dietro l’obiettivo

L’esperienza della giovane fotografa e designer torinese Federica Venuto, che a Milano si divide fra studio e lavoro, sognando “lo scatto della vita”

Valentina Esposito

Federica Venuto è una giovane fotografa torinese che studia e lavora a Milano

Destreggiarsi nel mondo del lavoro, si sa, non è facile. Soprattutto quando si prova ad emergere in un campo così variegato come la fotografia. Federica Venuto, torinese di 25 anni, è andata fino a Milano per realizzare quella che ha scoperto essere la sua passione per poterne fare prima motivo di studio, e poi indirizzo di lavoro. Idee e progetti che si realizzano grazie a voglia di fare e collaborazioni fortunate, lì dove la fotografia sconfina in altri campi, come il teatro o l’impegno civico. L’abbiamo intervistata per capire meglio cosa vuol dire essere giovane designer e fotografa oggi.

Quale percorso di studi hai fatto? Era un tuo proposito fin dal principio lavorare in questo campo?
«Ho fatto un percorso di studi completamente diverso rispetto al campo in cui ora cerco di “emergere”. Ho studiato infatti il liceo classico, principalmente perché non avevo idea di cosa mi sarebbe piaciuto fare una volta cresciuta. Dopo volevo entrare nell’Arma dei Carabinieri e ho provato a farlo dalla “porta di servizio” iscrivendomi a Psicologia per potermi dopo laureare in Criminologia. Anche li però non ho trovato la mia strada. Nel 2009 si è presentata l’occasione di andare a lavorare a Disneyland, dove mi occupavo di vendere le fotografie: lì mi sono accorta di come mi interessasse quel mondo, unito a quello della tecnologia, che già da tempo mi appassionava. Sono tornata in Italia, ho comprato la mia prima Reflex e da lì una strada fatta di corsi, workshop, tentativi di emulare grandi fotografi per imparare, libri di fotografia e uno sguardo più attento alle immagini che trovavo intorno a me. Nel 2011 poi mi sono iscritta all’Istituto Europeo di Design di Milano, corso di Interaction Design, per migliorare con lo studio la mia conoscenza in ambito informatico e contemporaneamente continuanre a sperimentare e organizzandomi per trovare il tempo di scattare. Ora sono all’ultimo anno, vediamo se finito questo il mio sogno fotografico/informatico si avvererà».

A Milano hai partecipato anche alla mostra fotografica con Keep Out: di cosa si trattava?
«La mostra con KeepOut era più che altro una “presentazione di portfolio”. Ho scelto tra le foto scattate in questi anni quelle che reputo più significative per me, o per chi le ha viste e ha colto quello che volevo trasmettere. KeepOut Studio è progetto che ha come fondamento l’intento di rendere accessibile il mondo della fotografia artistica anche a chi come me non è un artista famoso. Organizzano mostre di tutti i generi, mettendo a disposizione locali qui a Milano a più ragazzi contemporaneamente, affinché ognuno di questi possa esporre qualche sua opera. Il tutto a titolo gratuito, il solo costo è la consumazione al locale».

Ora hai in ballo due progetti, una serie di scatti con cosplayer e una sessione di foto in un ex manicomio, ce ne vuoi parlare?
«Il progetto con i cosplayer è forse quello che ho in mente da più tempo. Mi piacerebbe ricreare scene di film/cartoni/libri/manga e nello stesso tempo promuovere quello che, per me che ci capisco poco, è un vero e proprio lavoro: creare abiti il più verosimili a quelli dei propri idoli per mostrarli ad altri appassionati. L’altro progetto invece mi è venuto in mente con il trasferimento qui a Milano. Con un’amica ho organizzato una giornata di scatti al manicomio di Limbiate, spinta nella ricerca da una ragazza che mi aveva chiesto alcune fotografie in una location un po’ particolare, diroccata. Una volta pubblicate online le foto sono stata contattata dal Sindaco di Limbiate e abbiamo discusso dello stato in cui si trova il manicomio. Siccome c’era un interesse da parte sua di rivalorizzare questo luogo, mi piacerebbe organizzare un progetto fotografico in merito. L’idea è quella di ritrarre alcuni giocolieri per mostrare come, secondo me, la follia sia solo un modo diverso di vedere la realtà. Immagino delle fotografie che mettano in risalto sia la visione che la società ha delle persone considerate “pazze” sia quella che invece secondo me è ciò che loro vedono. Colori, giochi, luci in contrasto con la solitudine, il bianco degli ospedali, le medicine…».

Come scegli i progetti da realizzare?
«Solitamente vado a ispirazione. Sfruttando luoghi esterni per gli scatti, l’imprevisto è sempre dietro l’angolo. Studiare la fotografia rischia di renderla poi povera come messaggio. A volte dagli errori ho tirato fuori gli scatti più belli, magari perché ho rifatto la foto da un punto di vista diverso o perché in quel preciso momento accade qualcosa che non avrei magari inquadrato se avessi perso tempo a studiare troppo “accademicamente” il soggetto. Gli scatti quindi vengono da soli in relazione a quello che immagino nell’istante in cui ho la macchina fotografica in mano e sono pronta a scattare».

Dove trovi invece le persone da fotografare o con cui collaborare?
«Dipende. Ci sono alcuni siti che permettono di contattare modelle o makeup artist che sono disposti a lavorare in cambio delle fotografie: uno scambio reciproco tra le varie figure che collaborano nello scatto. Solitamente invece, siccome non amo particolarmente lo scatto in studio, penso prima ad un progetto, quindi cerco persone che possano essere interessate a collaborare e lavorare con me. Il progetto del manicomio per esempio doveva partire già tempo fa, ma mi sono ritrovata purtroppo con molte persone interessate ma troppe poche in grado di fare giocoleria, che è invece il fulcro del mio progetto. Ma non demordo, magari attenderò un po’, ma quel progetto un giorno vedrà la luce».

Oltre ai progetti di cui hai parlato c’è un sogno nel cassetto, un servizio fotografico che vorresti fare a tutti i costi?
«Ne ho pensati molti, più o meno fattibili, ma mi rendo conto che il mio interesse è quello di comunicare qualcosa con le mie fotografie. Mi piacerebbe scattare una foto che colpisca chi la vede e trasmetta un messaggio forte. Sai quelle foto che quando le vedi, non puoi fare a meno di togliertele dalla testa? Quella è una foto che vorrei fosse mia».

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Siete appassionati di fotografia? Avete mai pensato di farne una professione?

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Categorie: Cultura

Commenti (1)

  1. Alessandra ha detto:

    Si può respirare la passione di questa fotografa i quel che dice ed in com’è stato scritto. Tanti complimenti alla scrittrice, tanti anche a Federica per il suo sogno

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