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31 Gennaio 2014

Il “Pitecus” di Flavia Mastrella e Antonio Rezza

Intervista al “performer” diventato famoso nel programma di Neri Marcorè “Neripoppins”, ieri al Teatro Cardinal Massaia con uno spettacolo sulla meschinità umana

di Tommaso Portaluri

Antonio Rezza in Pitecus. Quadri di scena di Flavia Mastrella

Ieri sera alle 21 al Teatro Cardinal Massaia, è andato in scena il primo spettacolo (1997) di Antonio Rezza e Flavia Mastrella, “Pitecus“. Nei quadri di scena di quest’ultima, Rezza (visto su RaiDue nel programma “Neripoppins” di Neri Marcorè) dà vita a storie di personaggi mettendo a nudo «il rapporto tra l’uomo e le sue perversioni», le meschinità del linguaggio e della vita quotidiniani.
Si definisce un performer, Rezza, e non un attore. «Il più grande performer vivente», per l’esattezza, per poi aggiungere «fino a prova contraria», con un tono che sa più di sfida che di modestia.
In “Pitecus” i personaggi sono imprevedibilmente cangianti e Rezza passa dall’ormai famosissimo Gidio, che non esce mai da casa, a uno studente che ha problemi a svegliarsi, da Mirella che prega per un’assunzione alle poste all’estenuante attesa di un passaggio…
Noi eravamo a teatro e ne abbiamo approfittato per una chiacchierata con Antonio Rezza.

“Pitecus” è il vostro primo spettacolo. Come è stato iniziare? Avete incontrato molte difficoltà?
«Abbiamo iniziato a fare delle cose che erano legate molto allo spazio. Pitecus è lo spettacolo più antico che portiamo in giro. Si tratta della tecnica bidimensionale dei primi anni: i personaggi agiscono attraverso i buchi e le fessure dei quadri di scena, quadri di due metri, in stoffa. Lo spazio veniva adattato da Flavia Mastrella a seconda dello spazio che trovavamo quando andavamo in giro a fare gli spettacoli. Quando abbiamo iniziato avevamo poco più di 20 anni, non è che ci ponessimo il problema di arrivare a fare quello che volevamo, anche perché noi abbiamo sempre fatto quello che volevamo fare. In questo siamo molto più fortunati rispetto ad altri».

Il vostro è un teatro particolare di difficile categorizzazione. Come si pone rispetto ad altre tipologie teatrali e quale è la differenza fondamentale?
«Io non credo nel teatro di impegno civile e sociale, penso che sia veramente la più grossa menzogna della comunicazione degli ultimi anni. Se ci fosse una giustizia, non dovrebbe andare in scena o dovrebbe andare in scena a prezzi ridotti perché fa leva sulla conoscenza e la comprensione del pubblico di determinati fenomeni e crea un ponte miserabile tra chi sta sul palco e chi sta giù. Se tu hai visto l’ultimo mio spettacolo, “Fratto X”, il pubblico può venire solo a stupirsi, non può prevedere quello che succederà. Non può prevedere che io lascio il palco per 7 minuti e vado a strillare in un bagno. Quello è il rapporto funzionale con chi ti vede: la sorpresa e lo stupore».

Ci sono delle figure che riconosce come Maestri?
«Tra i Maestri riconosco Antonin Artaud, penso che sia un esempio oltre che artistico anche umano: Artaud non avrebbe mai chiesto finanziamenti allo Stato. Non ho letto molte cose di Artaud, mi basta quello che non conosco. Non lo sciupo con la mia comprensione. Penso che bisogna essere irriducibili e Artaud lo era. Non bisogna dipendere dallo Stato, in questo mi riconosco in Max Stirner: bisogna avere il coraggio di non essere stipendiati. Non deve essere lo Stato il tuo referente».

Ha affermato di non leggere molto, di trascurare la sua cultura: “Prendo un libro e lo sfoglio, leggo qualche pagina e mi fido. Ci sono un sacco di libri di cui mi fido”. Non crede che esista tuttavia un certo nesso tra intelligenza creativa e conoscenza? Penso, facendo questa domanda, a Carmelo Bene.
«Sì, credo che sia possibile. Io ho visto tre spettacoli di Carmelo Bene. Però ho visto il Carmelo Bene che era solo voce, non si muoveva più. Ho visto un Carmelo Bene che forse non era quello che era stato quando era ancora in forma. È chiaro che sia stato un genio assoluto. Era un genio che in un certo senso trovava beneficio dalla grande cultura, si è avvalso della sua cultura. Noi però stiamo creando una cultura a parte, una cultura nuova. Carmelo Bene era un mostro di intelligenza, ha fatto cose memorabili anche se molti giovani conoscono solo il Carmelo Bene del Maurizio Costanzo Show e questo è assurdo».

I giovani. Che cosa si sentirebbe di consigliare a un giovane artista?
«Non sono nessuno per dare consigli. Credo che il giovane debba vivere in un isolamento che prescinda dai soldi: sono le idee che portano i soldi. C’è una rincorsa al denaro perché le compagnie credono di non poter fare quello che vogliono se non hanno i finanziamenti giusti. Il consiglio che posso dare io è quello di abbandonare ogni possibile deriva economica».

Non c’è qui il rischio di confondere qualità e successo, che ad andare in scena siano solo gli spettacoli che attraggono grande pubblico? A un talento è richiesto di essere bravo, non di sapersi vendere.
«Questo lo ho detto anche io perché penso che sia una grande ingiustizia. Credo che lo Stato debba occuparsi dei teatri e del personale ma deve uscire dalla committenza dell’opera d’arte. Non esiste un regista che si fa pagare dallo Stato. Ognuno dovrebbe avere anche la possibilità di ritirarsi e ritirare: “Questo non è venuto bene e non lo faccio”. Invece va in scena perché lo spettacolo è stato già comprato dallo Stato. A me dispiace vedere compagnie che fanno cose interessanti e non hanno pubblico ma non si tratta di un’ingiustizia ministeriale, è un meccanismo legato a un certo tipo di economia. La televisione oggi muove diversamente quelle che sono le tendenze e non ci si può fare niente. Chi inizia adesso ha più difficoltà ma non perché è peggiore il periodo ma perché sono cambiati gli strumenti di comunicazione anche se, ad esempio, internet aiuta. Noi la televisione la facciamo raramente perché veniamo visti come il fumo negli occhi, però YouTube e la pirateria ci hanno aiutato tantissimo nell’espansione. Quello che deve succedere deve succedere: per citare Carmelo Bene, “il successo senza che nulla sia successo”».

L’ultima volta che è andato a teatro?
«Uno spettacolo di Teresa Ludovico “Cara Medea e piccola Antigone” da un testo di Antonio Tarantino. Che, tra l’altro, è torinese».

 

Link utili:
Pagina ufficiale di Antonio Rezza e Flavia Mastrella

Voi avete visto Pitecus? Che cosa pensate dello spettacolo?

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Categorie: Cultura

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