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20 Marzo 2014

“Tradurre è ripensare nella propria lingua”

Intervista alla traduttrice Paola Capriolo, oggi al Goethe Institut per un suo saggio, che dà qualche consiglio a chi vorrebbe intraprendere la sua professione

Tommaso Portaluri

La scrittrice e traduttrice milanese Paola Capriolo, oggi al Goethe-Institut

Oggi alle 17 al Goethe-Institut di Piazza San Carlo 206, Paola Capriolo presenterà il suo ultimo libro, “La perfezione del nulla. Thomas Mann”, edito dalla torinese Ananke edizioni, che si propone di attraversare i testi capitali dello scrittore tedesco per tracciare un percorso non convenzionale all’interno della sua opera.
Scrittrice milanese tradotta in tredici paesi, Paola Capriolo ha esordito sulla scena letteraria con la raccolta di racconti “La grande Eulalia”, nel 1988 per Feltrinelli. Traduttrice dal tedesco, ha tradotto, tra gli altri, Mann e Kafka (per Einaudi) e Goethe (per Feltrinelli); collabora inoltre con le pagine culturali del Corriere della Sera.

Che cosa differenza questo testo da un saggio tradizionale? Possiamo definirlo un viaggio?
«Penso che sia una definizione abbastanza giusta. Più che di un saggio in senso tradizionale è una sorta di esplorazione dei grandi temi di Thomas Mann, principalmente del tema del nulla, ma attraverso questo vengono poi a toccare tutti i nodi fondamentali della sua narrativa, non tanto basandosi sulle singole opere quanto cercando di creare dei ponti, dei tragitti appunto, tra l’una e l’altra».

Quali sono questi altri temi?
«Il tema della forma è centrale a cavallo tra Ottocento e Novecento. La cultura europea nel passaggio da un secolo all’altro attraversa una profonda crisi di contenuti e tende a vedere nella forma una sorta di antidoto a questa vanificazione dei contenuti, nel naufragio generale dei contenuti si fa della forma la sostanza umana. Invece in Mann la forma, che è altrettanto centrale, ha una sorta di ambiguità: nel suo essere fondamentalmente separazione dalla vita, irrigidimento della vita, si può dire che ha una vocazione nichilistica. In questo, Mann è molto vicino a Pirandello: la forma è irrigidimento del flusso vitale.

In questo testo lei è scrittrice anche alla luce del suo lavoro di traduttrice? Quale lavoro la diverte di più? Forse il secondo è meno riconosciuto…
«Diciamo che a me tradurre piace moltissimo, per me è una sorta di esercizio spirituale, tocca i fondamenti: non potrei fare a meno di tradurre. Ovviamente scrivere un saggio è qualcosa di completamente diverso, che mi concede anche una maggiore libertà, però quel rapporto con il testo che si ha quando ci si è dentro come traduttore è ovviamente un’altra cosa. Quando scrivo, forse perché sono una traduttrice, cerco di far parlare più possibile gli autori attraverso le loro voci: molti passi sono delle parafrasi o proprio degli intarsi tra parole mie e parole dell’autore e questo in un certo senso è portare la scrittura saggistica un po’ più verso il versante della traduzione di quanto non si possa fare in un saggio tradizione».

Che consiglio darebbe a uno studente di Lingue desideroso di intraprendere la carriera da traduttore?
«Una cosa che mi ha insegnato mio padre, che era un grande traduttore, soprattutto dall’inglese. Lui mi diceva, anzitutto, che il vero traduttore naturalmente deve avere un rapporto strettissimo con il testo, cercare di interpretarlo più fedelmente possibile, però a un certo punto deve abbandonare questa fedeltà, in un certo senso sovrapponendone un’altra che è la più importante di tutte, cioè la fedeltà alla lingua nella quale si scrive. Dunque, quando si traduce, è necessario a un certo punto arrivare a ripensare il testo nella propria lingua, altrimenti diventa un lavoro meccanico. Io mi sforzo di fare esattamente questo e penso che ci debba essere un momento in cui il traduttore è solo davanti alla propria traduzione, come se fosse un testo scritto da lui e lo rilegge in questa chiave, come un testo pensato in italiano. Il problema non è rendere un testo tedesco, francese o inglese in italiano, ma di renderlo come se fosse un testo pensato in italiano. Non è facile però è la cosa bella, emozionante di questo mestiere».

Link utili:
Goethe-Institut Turin
Vi piacciono le lingue straniere? Avete mai pensato di diventare traduttori?

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Categorie: Cultura

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