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27 Marzo 2015

Memoria e oblio ai tempi di internet

A Biennale Democrazia le riflessioni di Luciano Floridi, il filosofo dell’informazione della commissione privacy e web law di Google

Matteo Fontanone

Quella del diritto all’oblio è una questione spinosa che, nel mondo digitalizzato del 2015, se mal gestita rischia di assumere le dimensioni di un ginepraio.
Se n’è parlato ieri per Biennale Democrazia al Teatro Gobetti con il giornalista Luca De Biase e Luciano Floridi, il filosofo inventore dell’infosfera, termine fortunato che designa il gigantesco insieme di informazioni digitalizzate.

GOOGLE E IL DIRITTO ALL’OBLIO
De Biase rompe il ghiaccio con un excursus sui vecchi metodi di assunzione della Fiat, che per vagliare i candidati consultava il parroco del loro paese d’origine. «Google – dice De Biase – oggi ha sostituito il parroco».
Se nella società odierna il primo biglietto da visita dell’individuo è il search di Google, è giusto porsi delle domande sul diritto alla privacy che l’individuo stesso può esercitare. Opinione pubblica e comunità scientifica iniziano a riflettere quando, nel 2008, il cittadino spagnolo Mario Costeja Gonzalez si rivolge alla Corte Europea per chiedere la rimozione da Google di alcuni link risalenti al 1998, anno in cui gli venne pignorata la casa per debiti non pagati. Nonostante l’avvenuto pagamento, gli articoli e i documenti su di lui rimangono in evidenza nella prima pagina del motore di ricerca. Nel 2014 la sentenza della Corte secondo cui tutto quel materiale dev’essere rimosso, applicando di fatto il diritto all’oblio.
Poche settimane dopo, Floridi è invitato da Google a far parte della commissione privacy e leggi informatiche, con cui studia le soluzioni ottimali alle nuove problematiche che sorgono in quest’epoca di passaggio.

LA MEMORIA, UN PATRIMONIO COLLETTIVO
Secondo Floridi, la distinzione spesso abusata tra vita reale e virtuale non ha più ragione di esistere: «Viviamo in uno stato di compenetrazione ormai totale, sarebbe come chiedersi se l’acqua della foce in un fiume sia dolce o salata».
Una riflessione sul diritto all’oblio non può che partire dal concetto di memoria, che non è univoco. Attraverso citazioni puntuali di Shakespeare e riferimenti alla filosofia di Platone, Floridi categorizza diversi tipi di memoria: verde, registrata, di valore, problematica, pesante, procedurale, episodica. La memoria è un bene prezioso tanto quanto lo è il petrolio, con la sola differenza che non crea rivalità né causa guerre: è un patrimonio condiviso che, sulla carta, può appartenere a tutti. La memoria virtuale è un’entità raffinabile e rinnovabile la cui crescita non ha limiti: «Per Hillbert, studioso della California, già nel 2000 il 25% dello scibile umano era in formato digitale. Nel 2013, il 98%».
Anche la memoria, tuttavia, comporta dei costi; Floridi prende ad esempio il macrotema degli open data: «Solo quelli del governo americano possono rendere disponibili 3,2 trilioni di dollari ogni anno. Si tratta di un valore enorme, che però comporta delle ovvie problematiche nella sua gestione: ci sono costi di acquisizione, di usabilità dei dati, sicurezza, accessibilità. Senza contare che i dati vanno fatti parlare, quindi dobbiamo aggiungere i costi di analisi, etica e legislazione».

LA QUESTIONE DEL DIRITTO ALL’OBLIO
La memoria quindi ha un forte valore sociale e un grosso potenziale economico. La sua conservazione è complicata, comporta delle scelte: «Ciò che chiediamo alla memoria è l’apertura verso il futuro, non la stagnazione nel passato» dice Floridi.
Dopo aver segnato le fondamenta, il filosofo vira poi sul diritto all’oblio: «L’esempio del cittadino spagnolo di per sé è insignificante, ma ha avuto il ruolo di un fiammifero nella polveriera. Il risultato ottenuto è che se un qualsiasi search engine rende visibile un’informazione che non ci piace e gli chiediamo di rimuoverla, ha l’obbligo di prendere in considerazione la richiesta».
Tuttavia è solo l’inizio di un lungo percorso, il diritto all’oblio ha in sé ancora diverse problematiche cruciali: «Innanzitutto il grande contrasto tra la privacy e la libertà d’espressione, in questo caso non del cittadino, ma di Google. Sono due principi fondamentali di uguale importanza ma che spesso non vanno d’accordo, come il sale e lo zucchero in cucina». Un altro snodo non trascurabile è legato alla territorialità del diritto: «Mentre con la pace di Westfalia del 1648 la legge ha ottenuto confini geografici ben precisi – prosegue Floridi – su internet questo è ancora in via di definizione: non essendo uno spazio fisico, nessuna sentenza che lo riguardi può poggiare su una giurisprudenza nazionale».
Il problema della memoria, e di conseguenza il diritto all’oblio, è stato impiantato dall’800 a oggi in termini di filosofia dell’economia con il termine “possesso”: i miei dati sono miei come mi appartiene una macchina o un oggetto fisico. Floridi sostiene che negli ultimi anni le cose siano cambiate: «La filosofia non è più dell’economia ma dell’identità: i miei dati sono io, mi costituiscono. Se entri nella mia privacy non è come se entrassi a casa mia, stai condividendo parte di me».
La dicotomia memoria/oblio è ancora ampiamente dibattuta, un vero e proprio problema aperto. Le numerose domande del pubblico a Floridi, sul finale della conferenza, costituiscono di per sé un indicatore dell’interesse che il singolo cittadino nutre nei confronti di un argomento su cui, conclude Floridi, «è necessario un dibattito sempre più vivo, data l’importanza della posta in gioco».

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Categorie: Tecnologie

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