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25 Giugno 2015

Sedi universitarie sotto esame: il Politecnico

Il secondo appuntamento con la nostra inchiesta sugli spazi delle varie facoltà ci porta all’ateneo di corso Duca degli Abruzzi

Giulia Porzionato

Il Politecnico di Torino

Dopo l’approfondimento su Palazzo Nuovo, nuova puntata dell’approfondimento di Digi.TO sulle strutture universitarie. Oggi partiamo da corso Duca degli Abruzzi: lungo, alberato, centrale. A poche centinaia di metri dalla stazione Vinzaglio della metro, ecco apparire un enorme palazzo, grigio, imponente, estremamente moderno nonostante la sua costruzione risalga ormai ai primi del Novecento: il Politecnico di Torino, dove futuri ingegneri e architetti si preparano a cinque anni di studi per poter intraprendere le più diverse professioni legate alla scienza e alla tecnica.
Abbiamo intervistato tre giovani ingegneri, M., F. e J., per ottenere un affresco sulle caratteristiche di questa sede da parte di chi ha passato le proprie giornate tra quei muri, fra corsi di Analisi Matematica I, Fisica, Scienze delle Costruzioni.

Partiamo dai servizi offerti: che cosa funziona e che cosa è carente?
M.: «Da un punto di vista strutturale i locali nella maggior parte dei casi sono stati adeguati anche se sarebbe opportuno aumentare il numero di laboratori informatici. Da un punto di vista didattico il servizio offerto è ampio».
F: «I locali sono adeguati. Manca però una struttura organizzativa ben definita. I corsi di laurea sono troppi ed alcuni insegnamenti inutili ai fini della preparazione».
J.: «La qualità dell’insegnamento, nella maggior parte dei casi, è di un ottimo livello. Il problema risiede nella tipologia di formazione, troppo improntata sulla teoria. Manca abbastanza la parte sperimentale e di studi pratici (esercitazioni) su casi reali industriali. L’ingegnere non dovrà fare delle dimostrazioni teoriche nella vita lavorativa, ma essere capace di reperire le informazioni utili nel più breve tempo possibile e applicarle nel giusto contesto. Servirebbe a mio avviso un coinvolgimento nella didattica di ingegneri esterni che lavorano nelle industrie, ad esempio nella parte esercitazioni. I servizi logistici come segreterie e aule funzionano molto bene, cosi come il centro linguistico dell’ateneo».

Com’è la situazione a livello di tecnologia e informatizzazione? Come funzionano le segreterie?
M.: «Da un punto di vista prettamente burocratico il livello di informatizzazione è buono, la maggior parte delle pratiche possono essere svolte online, dal carico didattico fino all’iscrizione al nuovo anno e al pagamento delle tasse. In 5 anni di Politecnico ho dovuto andare di persona in segreteria poche volte per questioni che non si riuscivano a risolvere da casa. In questi casi il personale è sempre stato all’altezza. Unica nota negativa l’orario infelice, che potrebbe essere esteso».
F.: «Ci sono numerosi laboratori informatici, forse adeguati come numero, però a volte capita che nello stesso momento ci siano studenti che seguono un corso e persone alle prese con altre attività. I box informatici, che è possibile trovare lungo i corridoi e che fungono anche da segreteria online, sono fermi ad almeno un decennio».
J.: «So che ci sono molte ricerche e gruppi di studenti che mettono in pratica progetti, come la squadra corse, H2O… In ambito aerospaziale abbiamo una galleria del vento di modesta qualità. Il livello d’informatizzazione è molto sviluppato e di ottima fattura con wi-fi, biblioteca informatizzata, sito web, portale della didattica dove sono ben raccolti tutti i servizi che servono. Esistono due tipi di segreterie: una online tramite un’applicazione sulla propria pagina personale, dove si possono pagare le tasse ad esempio, e la segreteria fisica dove si fanno le pratiche più complesse come iscrizione finale, cambio di facoltà etc. Il tutto con ottima efficienza».

I laboratori: sono utili e ben strutturati o c’è qualcosa da migliorare?
M.: «Personalmente è stata la parte del Politecnico che più mi ha deluso. Quelli informatici non sono mai serviti a un apprendimento serio della materia, è stato pressoché impossibile star dietro a gran parte delle spiegazioni e il materiale fornito per l’approfondimento a casa molte volte è stato inadeguato. Quanto a laboratori sperimentali se ne sono visti decisamente pochi, 2-3 in 5 anni, interessanti ma poco impattanti nella formazione dello studente in quantità così ridotta».
F.: «I laboratori sono nella maggior parte dei casi una perdita di tempo. Lo studente assiste come spettatore, cosa assolutamente non normale per corsi di Ingegneria. Manca una propensione verso la preparazione pratica dello studente».
J.: «La presenza di laboratori didattici è cospicua. Sono abbastanza ben strutturati, sempre tenendo conto il numero elevato di allievi che non permette la massima efficienza didattica. I software che si trovano sono sempre all’avanguardia».

Opportunità pratiche: quanto sono tenute in conto e come sono sviluppate attività come lavori di gruppo, prove ed esperienze sul campo?
M.: «Specialmente verso la parte finale del percorso formativo sono presenti diversi lavori di gruppo. Una buona parte di essi però non è gestita al meglio, in quanto gli studenti sono spesso stati lasciati a sé stessi e l’attività, pur richiedendo molto tempo-lavoro, ha poco impatto sul voto finale dell’esame risultando una scocciatura e poco altro. Dovendo suggerire al mio Ateneo qualche miglioramento consiglierei di avere il coraggio di essere “europei” fino in fondo e certi esami farli solo ed esclusivamente sul lavoro di gruppo, seguendolo passo a passo con docente ed esercitatori. La vita lavorativa di noi ingegneri sarà piena di lavori di gruppo, volendoci abituare è bene farlo fino in fondo, di esami singoli selettivi è piena la prima parte della laurea».
F.: «I lavori di gruppo si limitano all’esecuzione di ricerche, spesso con temi uguali nei diversi anni in cui il corso si è tenuto. Le prove pratiche, a meno che non si considerino le simulazioni al computer, sono completamente assenti. Le esperienze sul campo si limitano a qualche visita organizzata, tipo museo».
J.: «Anche per quanto è stato il mio percorso le esperienze sul campo sono ridotte».

Conoscete i servizi per gli studenti Erasmus? Quali sono le maggiori differenze tra qui e un’università estera?
M.: «Personalmente non ho fatto l’Erasmus, ma le possibilità offerte dal Politecnico sono comunque buone. Nell’ambito di una partnership avuta con un’università francese durante l’attività di un corso ho potuto constatare una visione molto più collaborativa e meno selettiva».
J.: «Si, conosco bene questi servizi visto che ne ho usufruito. In ambito aerospaziale il Politecnico fa parte della rete Pegasus, che racchiude le migliori università aerospaziali d’Europa e quindi ha molte partnership. Questo permette allo studente che vuole andare in Erasmus di avere parecchie scelte a disposizione e di ottima qualità. Il Poli investe molto in questo ambito, offrendo possibilità di tesi, doppia laurea, sostituzione… Esiste una segreteria ad hoc che si occupa di tutti gli scambi internazionali e che funziona bene. In Francia ci sono molti più posti a disposizione perché c’è solo Ingegneria aerospaziale nella mia scuola».

Parlando infine di stage e sbocchi lavorativi: secondo voi quanto è utile il servizio dell’ateneo?
M.: «Rapportato alla situazione generale italiana sentita da colleghi di altre università il Politecnico offre buone possibilità, è presente una pagina stage e lavoro sul profilo personale dello studente e sulla mail la segreteria gira diverse possibilità di occupazione. Dovendo suggerire un miglioramento, andrebbero però evitate offerte di lavoro non compatibili con le skill di uno studente neo-laureato».
F.: «Il servizio dell’ateneo non è utile. Ci sono più possibilità che il primo contatto con le aziende avvenga in maniera ufficiosa tramite professori o altri intermediari. Questa lacuna organizzativa non aiuta, soprattutto nel momento storico-economico che stiamo attraversando. Inoltre la preparazione non tiene conto delle effettive richieste del mercato del lavoro. Nonostante ciò vi sono ancora numerosi casi fortunati».
J.: «Io penso che ci debba essere un collegamento diretto tra università e industrie. L’ateneo deve assolutamente valorizzare il proprio studente che ha finito il proprio ciclo di studi e accompagnandolo nel mondo lavorativo, organizzando direttamente colloqui con le imprese e fornendo tutto il necessario. Questo purtroppo in Italia non viene fatto a dovere, rispetto ad esempio alla Francia. Al Poli comunque, secondo le statistiche, alla fine dei 5 anni si hanno molte possibilità di trovare un lavoro e in breve tempo. Vedremo».

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