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16 Giugno 2016
Policumbent: la bicicletta da record degli studenti di PoliTo
La realtà dei team studenteschi, che coniugano ricerca e formazione, nelle parole del coordinatore tecnico di uno di questi progetti, Paolo Baldissera
Ornella Darova
Al Politecnico di Torino esiste una realtà che riunisce didattica, ricerca e innovazione: è quella dei team studenteschi, attraverso cui chi studia può cimentarsi nell’ideazione di un progetto che, portato avanti parallelamente allo studio, non solo consente di accrescere le proprie competenze tecniche e manageriali, ma favorisce anche l’aggregazione studentesca. Per questo filone l’Ateneo mette a disposizione un cospicuo budget (550.000 euro l’anno), utilizzato spesso in ottime iniziative che ottengono anche collaborazioni economiche e tecniche da parte di aziende ed enti del territorio.
Abbiamo deciso di intervistare il coordinatore tecnico di uno di questi team, il Policumbent: è Paolo Baldissera, assegnista di ricerca al Politecnico. Policumbent è attivo fin dal 2009 nella progettazione e realizzazione di veicoli a propulsione umana come biciclette reclinate, trike, velomobili e streamliner destinati alla mobilità quotidiana, al turismo, allo sport o alla sfida di record mondiali.
Perché avete deciso di lavorare su veicoli a propulsione umana? Quali sono le vostre finalità?
«Possiamo paragonare il lavoro che stiamo facendo in Policumbent al lavoro di ricerca che viene svolto per migliorare le prestazioni di una Ferrari nel settore dell’automotive. In questo momento il nostro focus è quello di apportare successive migliorie per spingere sempre più in alto l’asticella, e cioè per aumentare sempre di più la velocità massima raggiungibile dal veicolo».
Quali sono le prospettive del prototipo che realizzate? Ci sono derivazioni che potrebbero avere anche un uso quotidiano?
«Ovviamente il prototipo che stiamo realizzando cerca di raggiungere un record, ma non è di per sè adatto a un utilizzo normale su strada. Tuttavia, esiste una versione, la velomobile, che ha prospettive più promettenti da quel punto di vista. In Nord Europa, ad esempio, ha già un certo mercato e comincia ad arrivare anche in Italia, dove i primi acquisti sono stati recenti. Lo stesso team ha costruito qualche tempo fa una velomobile, ma i risultati non sono stati eccellenti: mancava l’esperienza. Tuttavia, questo tipo di lavoro è sicuramente utile e molto spesso crea spin-off interessanti».
Che ruolo hanno questo tipo di team nell’offerta formativa del Politecnico?
«I team studenteschi creano un enorme valore aggiunto per quanto riguarda l’aspetto pratico e reale del lavoro di un ingegnere o di un architetto. I ragazzi si devono scontrare con tutta la realtà di un progetto: il budget, le tempistiche, i fornitori, il disegno di pezzi meccanici realizzabili. Le competenze rimangono e sono davvero rilevanti anche nel futuro lavorativo dei ragazzi».
Nel caso di Policumbent si è sempre ottenuta una buona risposta da parte degli studenti?
«La mobilità a pedali forse non attira quanto quella motorizzata, ma gli studenti hanno sempre risposto benissimo agli stimoli. In più, sicuramente la parte della competizione attira molto gli studenti. Negli anni abbiamo avuto una crescita notevole sia in termini di numeri, sia in termini di innovazione. Sulla pista di Balocco, vicino a Novara, stiamo finalmente arrivando a una velocità di 95 km/h: l’anno scorso eravamo a 86 km/h. Vogliamo alzare certamente il record italiano ed avvicinarci a quello europeo. Invece la velocità raggiunta in Nevada, sul rettilineo ben più “scorrevole” della competizione è di 116,19 km/h, record italiano, che quest’anno confidiamo di poter alzare in fascia 125-130. Nel frattempo, tuttavia, si sta progettando un altro prototipo che promette di avvicinarsi anche al record mondiale».
Secondo lei in che modo e con quale efficacia il Politecnico di Torino sostiene l’innovazione in questa città?
«Sicuramente l’innovazione è un obiettivo fondamentale del Politecnico, quasi da statuto. Ed è evidente in entrambi gli aspetti del mio lavoro: sia come ricercatore, sia come coordinatore tecnico del team. In quest’ultimo caso, c’è davvero la possibilità di coniugare in modo molto efficace formazione e ricerca e gli esiti sono stati spesso anche sorprendenti».