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4 Luglio 2016

All’Iftar Street per festeggiare insieme il Ramadan

Cibo etnico, profumi, colori e allegria per musulmani e non, nella cena in strada di venerdì scorso a San Salvario, conclusasi prima della diffusione delle notizie dal Bangladesh

Alessia Galli della Loggia

L'IftarStreet di venerdì scorso a San Salvario

L’Iftar Street di venerdì scorso a San Salvario

Ci sono eventi che per la loro tragicità allontanano fra loro culture che fino a pochi decenni fa convivevano serenamente insieme, ma per fortuna esistono anche momenti in cui persone di diversa provenienza cercano un dialogo per arricchire di esperienze sé stessi e le proprie tradizioni.
Uno di questi momenti è stato venerdì 1° luglio, quando in Largo Saluzzo si è svolta la terza edizione di Iftar Street, una tavolata di 125 metri per condividere, nella notte più sacra del Ramadan, il pasto serale che per la fine del digiuno quotidiano, l’Iftar. Una vera e propria festa – terminata prima dell’arrivo delle notizie dell’attentato di Dacca – organizzata dalle associazioni Giovani Musulmani d’Italia, Azeytouna e Associazione Culturale San Salvario con il patrocinio della Città di Torino e la collaborazione di un centinaio di volontari.
Com’è possibile unire culture e religioni allo stesso tavolo? Ve lo racconta Digi.TO.

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Marocco, Egitto, Tunisia, Somalia, Sudan, Nigeria, Pakistan, Bangladesh, Iraq, India, Palestina, Libano, Perù e Italia: questi sono solo alcuni dei paesi dei partecipanti all’evento, diverse realtà unite per condividere la voglia di stare insieme.
Prima che inizi ufficialmente la cena i volontari sistemano bicchieri, posate, tovaglioli e bottiglie d’acqua sulla tavola, mentre gli ospiti si apprestano a prender posto; ai più ritardatari, invece tocca mangiare sul marciapiede e sul grande tappeto rosso steso al centro della piazza. I vassoi con la cena vengono serviti prima del tramonto, in modo tale che tutti possano mangiare contemporaneamente senza bisogno di aspettare. Durante l’attesa qualche occhio affamato cade sulle pietanze: cous cous di carne e verdure, riso speziato, datteri, frutta fresca, ma il digiuno della giornata è quasi terminato e a quel punto lo sguardo di alcuni si alza in cielo per ammirare le rondini che sfrecciano fra le nuvole.
Al calar del sole cala anche il silenzio: davanti alla Parrocchia Santi Pietro e Paolo Apostoli viene posizionato un microfono con delle casse e l’Imam Mohammad Sharin, figura spirituale per tutti i musulmani di Torino, recita la Preghiera del Maghreb (che in arabo significa tramonto) intonando un adhan, un canto sacro, ed ecco che le persone iniziano a mangiare e a bere in tutta tranquillità. La voce dell’Imam, associato alla calma dei movimenti dei partecipanti rende l’atmosfera ancora più suggestiva, quasi come se la frenesia, i rumori e il caos della città fossero lontani e in un certo senso cristalizzati.

UNA FESTA PER TUTTI
Dopo alcuni minuti si ritorna a far festa e a brindare: «Per te ho digiunato e grazie al tuo dono ho mangiato», traduce un signore musumano ad alcuni ragazzi italiani seduti accanto a lui, curiosi di capire il significato delle frasi recitate. È Abdullah Allam, 58 anni, proprietario del kebab Il Pascià di via Po, aperto nel 2004. Vive a Torino da 35 anni, ha lasciato l’Egitto per il suo lavoro di commerciante, si è sposato con una donna italiana e ha un figlio di 28 anni laureato in medicina. Accanto a lui due ragazzi suoi connazionali, entrambi di nome Mohammed ed entrambi studenti, laureandi in Scienze del Turismo: «Penso che sia un bel modo per socializzare, si condivide un momento in cui la nostra religione incontra altre religioni, senza barriere né confronti – dice Mohammed Ibrahim, che questa sera festeggia il 30esimo compleanno – hai visto quanta gente ho invitato?». Mohammed Farouk, 25 anni, condivide il pensiero dell’amico: «E’ la prima volta che mangio per strada ed è particolare ritrovarci qui a mangiare davanti a una Chiesa pur essendo una festa musulmana. E’ un grande esempio di tolleranza e pace». Poi si guarda intorno e con uno sguardo furbetto esclama scherzando: «Ci sono anche tante belle ragazze, magari trovo moglie!».
Tra le belle ragazze incontriamo Ines Ben Salem, tunisina di 24 anni con due grandi occhi verdi che risaltano sotto il velo bianco; laureata in Lingue, è una dei volontari: «Vedere la piazza piena di gente mi ha riempito il cuore. E’ proprio questo il senso dell’Iftar, aprirsi a tutti senza differenze: ci sono cristiani, atei ed ebrei a condividere un pasto, tutti disposti a immedesimarsi nella nostra cultura. Si potrebbe lavorare di più su eventi del genere. Tonerò a casa stanca, ma felice».
Verso la fine della cena parte un applauso che si trasforma in ola per tutta la piazza, un gesto che racchiude riconoscenza verso gli organizzatori dell’evento, che non hanno fatto mancare sorrisi e disponibilità, nella speranza di combattere i pregiudizi su una religione forse più temuta che conosciuta realmente.

 

 

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