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28 Novembre 2018

Pillole di associazionismo: Giosef-Unito

L’impegno di un gruppo di giovani che, con la metodologia dell’educazione non formale, lavora in Europa e nel Mediterraneo su progetti per la promozione dei diritti di tutti

Mario Acciaro

Alcuni giovani di Giosef-Unito

Il nostro viaggio nel mondo dell’associazionismo giovanile torinese prosegue con Giosef-Unito, una realtà che promuove la cultura del rispetto, dell’inclusione e dei diritti umani attraverso progetti di mobilità internazionale. Abbiamo raggiunto Annamaria Simeone, presidente dell’associazione, per comprendere più a fondo la forza propulsiva che muove tante ragazze e ragazzi a impegnarsi così a fondo per favorire la diffusione di valori necessari ora più che mai.

La vostra attività si poggia principalmente sugli scambi internazionali e sul Servizio Volontario Europeo: perché è così importante costruire questo tipo di esperienze? Tutto ciò come contribuisce alla formazione dei futuri cittadini del mondo?
«Giosef si occupa di mobilità internazionale in una cornice molto precisa, che è quella dell’Europa e dell’area mediterranea. In questo senso, l’obiettivo che riveste la mobilità nel nostro lavoro è quello di sviluppare la coesione sociale fra Mediterraneo ed Europa, favorendo l’incontro interculturale e il senso di appartenenza, che per noi sono aspetti fondamentali ai fini del rispetto dei valori comunitari. La mobilità internazionale è un veicolo per la costruzione di un’identità europea ed euromediterranea, particolarmente importante in questo periodo, attraverso la promozione della solidarietà e la costruzione di una società inclusiva».

Associazioni come la vostra come interagiscono con le istituzioni europee e nazionali? Sentite di avere voce in capitolo sulle questioni sociali?
«Giosef in realtà ha dimensioni piuttosto contenute, avendo una dipendente, tre collaboratori stabili e un gruppo variabile di volontari che conta al momento sei persone. Le istituzioni con cui interagiamo maggiormente sono l’Agenzia Nazionale per i Giovani, il Forum Nazionale Giovani, la Commissione Europea e il Consiglio d’Europa, naturalmente in misure e con effetti differenti. La nostra decisione di lavorare nell’area del Mediterraneo e su temi che spaziano dal contrasto alla radicalizzazione violenta alle questioni di genere e diritti Lgbt è una scelta di advocacy politica molto chiara, che va incontro a tutte le difficoltà e le resistenze del caso».

I vostri sforzi sono concentrati sui giovani, portando all’attenzione della politica istanze altrimenti inascoltate, eppure sembra ci sia sempre meno interesse circa le tematiche sociali: come invertire questa tendenza? È un problema generazionale?
«Nella nostra esperienza, che non pretende naturalmente di essere esaustiva, i giovani sono sempre più task-oriented: sono alla ricerca di una realizzazione personale che sembra passare esclusivamente attraverso l’ottenimento di una laurea spendibile sul mercato e di un lavoro stabile, piani comprensibili nel clima di precarietà e incertezza in cui sono immersi da anni. In questo senso, però, l’impegno sociale e l’attivismo vengono visti come un dispendio di tempo ed energie che non porta a risultati concreti, determinando un incontro più superficiale, un attivismo “da tastiera”. Purtroppo non abbiamo una ricetta infallibile per l’inversione di questa tendenza, se non quella di promuovere pratiche di partecipazione attiva e stimolare curiosità e pensiero critico, soprattutto attraverso un approccio di educazione non formale che è molto diverso da quello accademico e permette un investimento sulle proprie soft skills che può effettivamente essere valorizzato in fase di ricerca di un lavoro».

L’appoggio delle istituzioni è indispensabile. Quali sono le vostre proposte per migliorare il dialogo e l’interazione con la politica?
«Tutto ciò che abbiamo raggiunto è stato portato avanti grazie all’impegno totale di pochi giovani che dal 2004 si sono spesi in questo percorso, non sempre riuscendo a ottenere l’appoggio incondizionato delle istituzioni. Quello che secondo noi può aiutare nell’interazione è l’attivazione di processi dal basso, in cui le istanze possano essere portate in maniera diretta e le istituzioni possano mettersi in ascolto attivo e toccare con mano l’impatto che l’impegno dei giovani ha sulla società, a livello internazionale come locale».

 

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