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24 Gennaio 2019

Ghiaccio, un documentario tra sport e integrazione

Intervista al regista che racconta la storia di sei ragazzi arrivati in Val Pellice da Gambia e Sierra Leone, divenuti atleti della prima squadra di curling al mondo per richiedenti asilo

Alice Dominese

Le riprese di “Ghiaccio”

Ghiaccio è un documentario di Tomaso Clavarino, fotografo e giornalista, che due anni fa ha deciso di realizzare un reportage su alcuni ragazzi arrivati in Italia dall’Africa, scegliendo poi di sviluppare ulteriormente il loro racconto.
Ospiti della Diaconia Valdese di Bobbio Pellice – che collabora con il Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati – Kebba, James, Edward, Seedia, Lamin e Joseph sono i sei giovani under 30 diventati protagonisti di una storia che racconta come lo sport e l’integrazione possano unirsi in una sfida quotidiana. Dopo essersi avvicinati al mondo del curling, hanno fondato l’Africa First Curling Team, composta da soli richiedenti asilo e ammessa al campionato italiano.
Per conoscere meglio la loro esperienza, abbiamo intervistato il regista.

Di cosa parla questo documentario?
«Parla certamente di sport, il curling infatti è al centro del racconto, ma tocca anche il tema dell’adattamento di sei persone provenienti dal Gambia e dalla Sierra Leone che si ritrovano a dover vivere all’interno delle logiche dell’accoglienza. Per questo penso che la loro sia una storia di sopravvivenza, non solo perché questi ragazzi sono passati da un clima caldissimo ai -10 gradi della valle piemontese, dove hanno conosciuto, appunto, il ghiaccio, ma anche perché si sono dovuti confrontare con l’iter complesso previsto per i richiedenti asilo».

Ghiaccio: il titolo non fa quindi riferimento solo al freddo che hanno scoperto questi ragazzi…
«Anche, ma non solo. È un titolo immediato che rimanda al curling, ma che vuole indicare il contesto sociale in cui tutti loro sono immersi, spesso molto freddo a livello relazionale e pieno di barriere nei confronti di chi, come loro, arriva da un altro paese. Ghiaccio fa poi riferimento alla condizione sospesa, “congelata”, che vivono i richiedenti asilo in attesa di ricevere o meno lo status di rifugiati da una commissione che analizza il loro vissuto, ma che di loro in quanto persone sa poco».

Perché si sono avvicinati a questo sport?
«La Val Pellice è una zona che non può offrire molto ai giovani, anche a causa dello spopolamento che sta subendo, e il curling rappresenta uno degli sport più diffusi, così la Diaconia Valdese ha cercato di coinvolgere i loro ospiti in un’attività diversa dal solito. Attraverso il curling si sono ricavati una bolla di felicità che li tiene lontani dalla monotonia e dalla noia. Nonostante i progetti e i tentativi di inserimento siano tanti, infatti, nei momenti in cui questi ragazzi non sono a scuola o impegnati in corsi di formazione, sono chiusi in casa e lo svago finisce lì».

Qual è l’obiettivo di Ghiaccio?
«Questo documentario vuole raccontare una storia di speranza che è insieme ironica e leggera, ma senza buonismi all’acqua di rose. I problemi legati all’immigrazione sono reali, ma il nostro intento è quello di darne una narrazione diversa. Il tentativo della produzione è cioè di creare una narrazione aperta al mondo globale che sta cambiando, non più solo divisiva fra buono e cattivo, migrante e non, come se ci fosse un’incompatibilità nel vivere insieme».

Credi che questo lavoro possa essere utile ai ragazzi coinvolti?
«Sinceramente non lo so, anche se credo che essere i protagonisti di questo documentario li abbia resi più partecipi, mettendoli nelle condizioni di lasciarsi progressivamente conoscere e di entrare più in contatto con la realtà che li circonda. Oggi abbiamo stabilito un buon rapporto di amicizia. Penso che se da un lato si trovano a essere impotenti davanti alla sfida giuridica, dal momento che non possono intervenire sul giudizio che esprimerà la commissione esaminatrice, almeno attraverso la sfida sportiva i ragazzi possano sentirsi attivi rispetto al proprio futuro nel gioco».

Cosa vi aspettate dalla distribuzione del documentario?
«Vorremmo che questo lavoro li aiutasse a ottenere lo status di rifugiati: questi ragazzi sanno che se le possibilità di riceverlo erano poche, con il Decreto Sicurezza si sono più che dimezzate, ma dall’inizio delle riprese ci siamo resi conto della loro grande tenacia. Non mollano e spendono tutte le loro energie per seguire quanti più corsi di lingua e di formazione lavorativa possibili per poter dimostrare di essere integrati e conseguire la cittadinanza. Il loro racconto attraverso le telecamere, in cui non chiediamo di recitare ma di essere protagonisti della loro storia, speriamo possa dimostrarne gli sforzi ed essere utile in questa direzione».

Hai imparato qualcosa che non sapevi prima di iniziare le riprese?
«Ho scoperto una voglia di fare incredibile e affatto scontata da parte dei ragazzi nell’impegnarsi per costruire il proprio futuro. Una volta uno dei ragazzi mi ha detto: “Tutta questa gente che dice che dobbiamo tornare a casa nostra non sa cosa vuol dire per noi il posto che loro chiamano casa. Probabilmente è gente che non è mai uscita dal proprio paese e non sa che attraversare altri luoghi e conoscere altre culture fa parte dell’essere umano”».

Le riprese sono cominciate un anno e mezzo fa. Tomaso Clavarino e l’agenzia indipendente ActingOut hanno iniziato a collaborare con la Diaconia Valdese, che ha contribuito economicamente alla realizzazione del documentario insieme con Film Commission, da cui Ghiaccio ha avuto la prima parte dei finanziamenti, e dopo un crowdfunding di oltre 6.000 euro i lavori sembrano poter proseguire.
Alla conclusione mancano ancora quattro o cinque mesi, spiega Clavarino, che spera di poter portare il suo documentario al Torino Film Festival del prossimo novembre. Intanto si continua a salire in valle e seguire l’Africa First Curling Team nei suoi allenamenti.

 

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Categorie: Intercultura, Sport

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