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25 Gennaio 2019

Il racconto della marcia dei migranti attraverso le Alpi

Un fotoreporter ci riporta la sua esperienza sul confine fra Italia e Francia: l’esodo di persone spesso impreparate al clima, il rapporto con le Ong che operano in valle e i suoi abitanti

Alice Dominese

Migranti a cavallo del confine fra Italia e Francia

È passato un anno dal primo reportage realizzato dal fotoreporter Federico Ravassard a cavallo della frontiera italo-francese. Per alcuni giorni ha vissuto a fianco dei migranti intenti ad attraversare il Colle della Scala, che l’inverno scorso era ammantato da una delle nevicate più corpose degli ultimi anni. «Il mio viaggio è nato per curiosità verso un tema a cui tengo molto – spiega Ravassard – Ho chiesto alla Onlus R@inbow4Africa, che gestiva un punto di soccorso a Bardonecchia, di poter appoggiarmi al suo personale per seguirne i lavori, così ho potuto realizzare un reportage fotografico [da cui sono tratte le immagini di questo articolo, n.d.r.] dedicato al rapporto fra medici e migranti, poi pubblicato per La Repubblica Torino».

L’associazione torinese R@inbow4Africa si occupa di assistenza sanitaria in tutto il mondo e di progetti di formazione e sensibilizzazione nelle scuole. Il presidio di Bardonecchia rientrava in quella che avevano chiamato Missione Freedom Mountain. Una montagna libera, come libera si sente la Val Susa di accogliere chi passa, racconta Ravassard: «Per la presenza di molti valichi è una zona aperta, abituata a essere attraversata, in qualche modo è predisposta al movimento continuo delle persone da e verso la Francia. Forse anche per questo l’atteggiamento che ho notato da parte degli abitanti e dei turisti in generale era un misto di solidarietà e indifferenza nei confronti dei migranti che si vedevano passare».
Ma i ragazzi che tentavano di superare la frontiera non erano i soli a essere ospitati in situazioni di emergenza dai volontari di R@inbow4Africa: «Dopo che la stazione di Bardonecchia aveva iniziato a essere chiusa di notte per ridurre gli arrivi e i bivacchi, anche alcune famiglie di turisti si erano ritrovate a non sapere dove aspettare il primo treno del mattino e sono state accolte nel centro di soccorso là vicino».

Passando alcune notti presso il centro di Bardonecchia, Federico ha potuto conoscere i suoi ospiti, molti giovanissimi e prevalentemente di origine africana, soccorsi per il freddo nel buio della montagna: «Mi sono accorto che il loro modo di fare variava in base agli anni che avevano trascorso in Italia. Chi era qui da poco era molto speranzoso e sicuro di poter arrivare in Francia per costruirsi un futuro, chi invece era in Italia da tempo era piuttosto disilluso. In generale – continua – in pochi sapevano che si sarebbero trovati davanti tutta quella neve e quel freddo, la maggior parte era del tutto impreparata e non equipaggiata, c’era chi aveva perso le dita per il gelo. Tanti erano delusi da ciò che avevano trovato in Europa, erano convinti che sarebbe stato più facile ottenere i documenti e spostarsi, e nonostante la determinazione nel passare la frontiera, per cui erano anche disposti a morire, c’era chi quasi si vergognava di ammettere che avrebbe voluto tornare indietro».

Il presidio di Bardonecchia

Passate le nevicate, la lunga marcia degli uomini si è fatta intensa a partire dalla primavera e anche Federico è ritornato in valle riuscendo questa volta a camminare con loro attraverso i boschi. Gli interventi di soccorso, dalle 20 persone circa ricoverate ogni notte, erano diminuiti e il comportamento dei migranti col disgelo sembrava essere cambiato, ma al contrario rispetto al ritmo della natura: «D’inverno mi ero trovato a chiacchierare con tanti di loro, a luglio invece ho percepito una certa freddezza, erano più chiusi e diffidenti nel raccontare di sé. Molti, più che la polizia, sembravano temere i passeur che li accompagnavano con i pulmini e poi attraverso i boschi, dove per non farsi scoprire comunicavano per mezzo di gesti o con fazzoletti lasciati appesi agli alberi, dando l’idea di formare una struttura molto organizzata sul percorso».

Dopo essere arrivate in stazione fra le montagne, la maggior parte delle persone che cercano di oltrepassare il confine è del tutto sprovvista di punti di riferimento, spesso infatti la loro bussola consiste soltanto in un passaparola; chi è più fortunato invece ha un segno sulla mappa rispetto cui orientarsi per raggiungere il punto di raccolta, dove i passeur recuperano i viaggiatori e li accompagnano per un pezzo di tragitto. I prezzi variano: in auto da Oulx a Briançon, aveva saputo Ravassard, sono ad esempio 400 euro di trasporto.
A prevenire il peggio e a recuperare i dispersi la realtà di R@inbow4Africa non è certo la sola che si mobilita: anche le Ong d’oltralpe sono molto attive e a coordinare gli interventi ci pensa il Soccorso Alpino, che mantiene una posizione neutra, ma non lascia nulla di intentato, assicura Ravassard: «In montagna funziona come in mare, si salva chiunque ne abbia bisogno».

In relazione a ciò, la Val Susa si prepara a manifestare contro il Decreto Salvini in una cordata che partirà alle 14 da Piazzetta De André ad Avigliana domani 26 gennaio, a sostegno di chi ha marciato verso il confine francese e continua a rischiare la vita ogni giorno per cercare una vita migliore.

 

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Categorie: Intercultura

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