Home » Mobilità » Il bike sharing a Torino, tra evoluzioni e abbandoni
20 Marzo 2019
Il bike sharing a Torino, tra evoluzioni e abbandoni
Dalle bici a stazione fissa a quelle a flusso libero, la mobilità condivisa a due ruote è in crescita, ma non tutte le aziende riescono a rimanere sul mercato
Francesca Vaglio Laurin
A Torino il bike sharing, il servizio di condivisione delle biciclette, vanta una presenza ormai quasi decennale, che nel tempo si è ampliata e diversificata. Pioniere in questo campo sono state le bici gialle di [TO]Bike, messe in circolazione per la prima volta nel giugno del 2010 e gestite direttamente dalla Città di Torino. Inizialmente ristretto alle zone centrali della città, il servizio ha registrato una continua crescita e oggi conta più di 25mila utenti e circa 180 stazioni, arrivando nel tempo a coprire anche i quartieri più periferici – come Barriera di Milano, Cenisia, Mirafiori e Santa Rita – e alcuni comuni limitrofi.
Oggi [TO]Bike è affiancato da un altro tipo di servizio: si tratta delle biciclette free floating, l’evoluzione del bike sharing che consente agli utenti di prelevare e posare i mezzi in qualsiasi punto della città, senza essere vincolati alle stazioni fisse.
Questo servizio di mobilità condivisa, già in funzione in molte città del mondo, è sbarcato a Torino nel 2017 per un primo periodo di sperimentazione e alla fine di quell’anno il Comune ha aperto un bando per farlo gestire senza oneri per 12 mesi. A rispondere sono state cinque diverse aziende (per un totale di 12.000 nuove biciclette) che erano tenute a rispettare una serie di clausole: l’impegno a investire l’equivalente di 20 euro per ciascun mezzo, da destinare a interventi migliorativi della mobilità ciclabile cittadina, e l’obbligo di stipulare una polizza inclusa nel costo per assicurare gli utenti. Le aziende dovevano inoltre garantire che le bici fossero parcheggiate in luoghi opportuni e non abbandonate in maniera caotica in giro per la città.
A dispetto dell’investimento previsto, però, oggi la situazione attuale appare parecchio ridimensionata: delle cinque società vincitrici del bando, tre non hanno attivato il servizio (Enotravel, Free@bike e Ofo), né vi sono notizie di un loro futuro arrivo in città. Un’altra azienda, la start-up di Singapore Obike, ha operato per circa un anno a Torino, ma nell’estate del 2018 ha dichiarato fallimento e pochi mesi dopo è iniziato il ritiro dei suoi mezzi dalle strade.
Lo stesso destino era già toccato ad un’altra impresa asiatica, la Gobee.bike, che – dopo aver fatto da apripista del servizio free floating a Torino – ha deciso di non partecipare al bando e a inizio del 2018 ha annunciato il proprio ritiro da tutte le città europee in cui era presente, motivando la decisione con i costi di manutenzione diventati ormai insostenibili a causa dei danneggiamenti e dei furti, che avevano colpito il 60% dei suoi mezzi. Oggi l’unica superstite in città (oltre al servizio [TO]Bike) è quindi il colosso cinese Mobike, la più grande piattaforma di bike sharing a livello mondiale.
La situazione torinese sembra riflettere una tendenza più ampia: dopo una fase iniziale di forte espansione del settore, diverse società di bike sharing sono andate incontro al fallimento o sono sparite. Il repentino moltiplicarsi di aziende ha saturato velocemente il mercato, facendo sì che solo alcune riuscissero a sopravvivere. Chi ci riesce lo fa non solo grazie ai costi di utilizzo del servizio (di per sé abbastanza irrisori) ma anche perché questo tipo di piattaforme consente alle società private di bike sharing di accedere a una grande quantità di dati prodotti dagli utenti con i loro spostamenti, spesso riutilizzati per inviare pubblicità mirate. Non a caso aziende come Mobike, nate come giovani start-up, ora attirano capitali e investimenti da diversi colossi di servizi web e apparecchiature elettroniche (ad esempio la multinazionale Tencent).
Nonostante tutto, comunque, l’uso del bike sharing tra i torinesi si conferma una scelta molto gettonata e il settore è in crescita su tutto il territorio italiano: stando ai dati raccolti nel secondo rapporto nazionale sulla sharing mobility, nel 2017 in Italia il bike sharing è aumentato del 147%, facendone il primo paese europeo in termini di numero di servizi attivi. A Torino, inoltre, era presente il 13% del totale delle bici condivise in circolazione sul territorio nazionale: alla luce di questi numeri, se è vero che alcune aziende hanno deciso di lasciare, altre potrebbero in futuro inserirsi per proporre forme di mobilità condivisa e sostenibile.