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1 Aprile 2019

Professione archeologo: che lavoro svolge nel 2019?

Scavi e soprattutto tanto studio, ma come si intraprende questa carriera? Cristina Laurenti, studentessa 24enne, ce lo spiega in questa intervista

Carlotta Bianchini

Professione archeologo

Lo scavo è solo una parte del lavoro dell’archeologo

Dimenticate Indiana Jones. Se guardando i film di Spielberg avete deciso di fare l’archeologo non aspettatevi trappole in luoghi esotici o inseguimenti mozzafiato. Nel terzo millennio il personaggio interpretato da Harrison Ford sarebbe soprattutto uno studioso, purtroppo in perenne lotta contro la scarsità di fondi per il suo lavoro; è quanto ci racconta Cristina Laurenti, 24 anni, futura archeologa.

Che cos’è per te l’archeologia?
«È molto di più di quello che crede la gente. È un lavoro scientifico che va fatto secondo principi sviluppati negli anni. Ma è anche una questione di passione e amore per gli oggetti. Io, ad esempio, che attualmente sto studiando l’architettura di una nave, amo la mia nave».

Quando hai scoperto di voler fare questo lavoro?
«Sin da piccola ho avuto un forte interesse per la storia e per le cose antiche. Leggevo i libri sugli Egizi e i Romani e andavo spesso ai musei. Ho capito di poter rendere concreto questo mio interesse al liceo, quando ho iniziato a interessarmi al mondo del lavoro. Io mi occupo principalmente di cultura romana ma mi piacciono anche gli Egizi. Bisogna amare tutta la storia per fare questo mestiere».

Qual è il percorso di studi?
«Dipende dalle proposte universitarie delle varie città italiane. A Torino ad esempio, c’è il corso di Beni Culturali che propone tre curricula tra cui quello archeologico, mentre a Lecce c’è la triennale proprio di Archeologia. La magistrale generalmente è di archeologia e in base alle offerte puoi scegliere i periodi che ti interessano maggiormente. Dopo la magistrale però non puoi ancora lavorare come archeologo perché in Italia non esiste l’albo, per cui bisogna avere un titolo in più, e devi continuare il percorso scegliendo il dottorato di ricerca o la scuola di specializzazione che ha la durata di due anni e prevede molte ore di scavo e tirocini».

Che tipo di lavoro è oggi l’archeologo e quali sono gli sbocchi professionali?
«Non ci sono solo scavi, le cose da fare sono tante: catalogazione dei pezzi, ricerca e pulizia dei materiali e, soprattutto, molto studio. Ogni giorno, infatti, salta fuori qualcosa che smonta una teoria, anche grazie alle nuove tecnologie. Le possibilità sono tante ma il problema, come si sa, è la mancanza di fondi. Ci sono professionisti chiamati da ditte o dalla Sovrintendenza, altri che lavorano presso l’Università ed esiste tutto il mondo dei musei».

Miti da sfatare?
«Sicuramente quello di immaginare l’archeologo come un moderno Indiana Jones, che in realtà è più un avventuriero. Poi la credenza comune che non ci sia più nulla da scoprire. In Italia ovunque si scavi ci si imbatte in reperti e oggetti interessanti e addirittura in ville intere. Esistono per questo le carte del rischio archeologico, che catalogano le zone d’Italia in base al rischio da tenere in conto durante i lavori edilizi. Gli archeologi vengono inclusi nel progetto per fare sorveglianza in modo da avere il tempo di scavare, fermare o modificare i lavori. Purtroppo, non si può mantenere e studiare tutto e nemmeno fermare l’andare avanti delle cose. L’importante è documentare».

Quali sono i problemi maggiori di questo ambito professionale?
«In Italia, nonostante il patrimonio immenso e i fondi europei e dell’Unesco ci sono molte difficoltà di gestione del patrimonio. Gli scavi sono tanti ma non si riescono a mantenere, molti sono abbandonati, lasciati a loro stessi. Ed è un peccato perché tutto ciò attira sia i turisti sia i cittadini, che sentono la storia come loro e ne sono orgogliosi. Ci sono musei che aprono per poche ore per mancanza di fondi, nonostante le persone vorrebbero volentieri visitarli e trascorrervi del tempo. Bisogna valorizzare il territorio: per l’Italia il turismo potrebbe essere una risorsa ancora più importante di quanto non sia».

 

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