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18 Dicembre 2019

Francesca Dondoglio, fra poesia, arte e fotografia

Giovane artista torinese, ci ha raccontato le sue giornate in atelier, le sue idee e i suoi colori

Fabio Gusella

Ragazza con maglia rossa e pantaloni neri seduta per terra su fondo blu e bianco - Francesca Dondoglio nel suo studio

Francesca Dondoglio nel suo studio

“Ciascuno è nel suo profondo come una chiesa, e le pareti sono ornate di affreschi festosi”, scriveva nel suo Diario Fiorentino il poeta Rainer Maria Rilke. Una frase che sembra ben rappresentare il lavoro di Francesca Dondoglio , giovane artista torinese molto legata alla poesia e, in particolare, proprio al celebre poeta boemo.
Solo riportando alla luce “l’antico splendore” di quegli affreschi sepolti sotto “l’intonaco” dell’età adulta, sosteneva Rilke, l’artista riuscirà infatti a “ritrovare la sua patria in se stesso”, scoprendo così la propria infanzia e il proprio vero sé. Perciò, per ritrovare quell’“antico splendore”, Francesca trascorre le giornate fra le pareti del suo studio, a dipingere e fotografare.
Nata nel settembre 1990 in uno chalet a Ceresito, un paesino in provincia di Biella, Francesca si è diplomata al Liceo Artistico per poi laurearsi in Conservazione e Restauro dei Beni Culturali all’Università di Torino, città in cui oggi vive e lavora. Per riuscire a calarci nel suo mondo sospeso fra pittura, fotografia e poesia, le abbiamo posto alcune domande.

Come si svolge una tua giornata d’arte?
«Le mie giornate non hanno nulla di straordinario e sono tutte diverse. L’unica costante è che sono magnificamente sola. Solitamente inizio presto: amo la mattina, mi tranquillizza l’idea di poter ricominciare un giorno tutto nuovo. Amo il mio spazio: scarno, in divenire, pieno di possibilità, dal profumo ancora neutro. Mi sento fortunata. Il tempo che passo in studio mi permette di capire meglio chi sono quando sono sola».

Descrivici il tuo metodo di lavoro.
«Per me dipingere è sempre stato un esercizio di attenzione. Imparo facendo. Non ho mai potuto imparare niente se non attraverso l’esercizio. Parto sempre da una ricerca sui materiali e sui supporti: li provo, li osservo, studio come si comportano. Oltre al metodo, ci dev’essere il gesto e il godere la materia. La costruzione passa attraverso stadi provvisori. Alterno la precisione a segni liberi involontari. Quando le parti sono in squilibrio cerco di equilibrarle, quando invece sono stabili cerco di farle vacillare. Più che un metodo è un percorso e so che devo ancora imparare molto. Avere immaginazione e avere delle immagini non è la stessa cosa. Sono molto severa con il mio lavoro, ma ho imparato a non esserlo con me stessa. A volte è sano non prendersi troppo sul serio. Semplicemente faccio ciò che sta a me, entro i miei limiti».

Che cos’è per te la pittura e perché la scelta di usare gli acquerelli?
«È un modo di esplorare le mie lacune. Scoprirle e precisarle è già importante. Mi impegno per superare i miei ostacoli personali e cerco di non perdere troppe energie a risolvere quelli imposti dall’esterno. Gli acquerelli mi permettono di lavorare con l’acqua e con il tempo. Tra una velatura e l’altra ci sono minuti da rispettare: quando l’acqua evapora, il pigmento si raduna preferenzialmente in alcune aree, in altre meno. Mi piace la trasparenza, quello che mostra e quello che cela. L’acqua è imprevedibile: ha le sue leggi ma sa anche essere incoerente. Imparo molto dall’acqua».

E dal tempo?
«Con il tempo invece ci litigo spesso. C’è un alternarsi di due fasi: c’è un tempo per l’attesa e un tempo per l’azione. Dipingo su foglio asciutto e tendo a non mischiare i colori, preferisco sommarli puri uno sull’altro. Più di tutto ho bisogno che le gocce “asciughino in piedi” e che si formi quell’alone d’intorno. Se la superficie è troppo porosa o ancora umida la goccia si prosciuga, il foglio se la beve. Mi preme salvare il contorno, per cui è importante saper aspettare e lasciare ogni goccia coagulare in pace».

Il colore blu ricorre spesso nelle tue opere. Perché?
«È una tregua. Nel blu mi sento a casa. È un colore che offre riparo. Il blu è leale, cattura la malinconia e sprona all’azione. È una profondità che chiama, ma tiene sempre a galla. È al contempo presenza e distanza, mistero e intimità. O forse, più semplicemente, antidoto contro la paura».

Cosa ci racconti riguardo ai tuoi lavori fotografici?
«Non è semplice parlare di un progetto quando è ancora in divenire. Ho scelto la fotografia perché sentivo l’esigenza di trovare un mezzo diverso per esprimermi. Avevo bisogno di qualcosa di più essenziale e immediato. Si tratta di una serie ancora aperta che ho intitolato Evenire. La sfida consiste nel catturare in un unico scatto un gioco di riflessi su una superficie dipinta, un cerchio blu colpito dalla luce. Da questo blu escono, quasi galleggiando, delle mani».

Perché le mani?
«Oltre al tempo e all’acqua, le mani sono il mio strumento. Con questa serie ho cercato di distanziarmi da loro, guardarle forse per la prima volta nella loro semplice presenza, come soggetto-oggetto, non come mezzo. É un tentativo di isolare i gesti, di separarli dalla pittura. Vorrei che i miei gesti potessero fare a meno di me e dei miei quadri. Tra i vari elementi della serie esiste un rapporto, ma non è né logico né narrativo. Le immagini non sono prese in una storia. Ho preferito lasciarle libere. I singoli tasselli restano indipendenti, ma non più isolati».

Quale rapporto c’è fra la tua arte, la tua vita e la poesia?
«Poesia per me significa impossibilità di mentire. E penso che nel lavoro sia essenziale mantenersi sinceri come atto di fedeltà a se stessi. Mentre una velatura asciuga sono solita leggere i poeti che amo e che accompagnano la mia ricerca, primo fra tutti Rainer Maria Rilke. Provo un senso di gratitudine nei loro confronti».

Dove possiamo trovare i tuoi lavori?
«Passate a trovarmi. I miei lavori comunque sono visibili sia su Instagram che su Facebook».

Un consiglio ai giovani artisti?
«Umiltà, indipendenza. A quanti si emozionano leggendo queste chiacchiere dico: siate disponibili a sperimentare con la vostra vita. Siate costanti, giocate seriamente e con garbo».

 

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Categorie: Cultura

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