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3 Giugno 2020

La (vera) vita dello chef

L’esperienza di Domenico, dal sud Italia a Copenaghen per inseguire il suo sogno, ma con i sapori della sua terra sempre nel cuore

Vincenza Di Lecce

Più chef al lavoro in cucina

Domenico al lavoro

Ci hanno aperto le porte delle loro cucine facendoci sognare con impiattamenti spettacolari, ci hanno affascinato con la loro fantasia, conquistato con la cura dei dettagli. Sono gli chef, le star dell’ultimo decennio, in grado di trasformare il cibo in opere d’arte, ormai veri e propri personaggi (a volte anche un po’ bizzarri) dalle mosse così naturali da far sembrare semplice tutto ciò che fanno.
La realtà però è che questo lavoro richiede innanzitutto tanta, tantissima gavetta. Ce lo racconta Domenico, 27 anni, cuoco al Restaurant Geranium di Copenaghen, Tre Stelle assegnate dalla Guida Michelin e al quinto posto fra i 50 migliori locali del mondo.

INIZIARE DAL BASSO
«Ho cominciato a lavorare a 16 anni, quando ero solo un ragazzino, tanta era la voglia di entrare nel mondo della ristorazione» ci dice. Dopo la scuola e nel weekend lavorava in un ristorante della sua città, Matera, consapevole che ci fosse ancora molta strada da percorrere: «All’inizio facevo il cameriere e lavavo i piatti, ci è voluto un po’ prima che cominciassi a mettere davvero le mani in pasta», racconta.
Il suo sogno però è sempre stato quello di diventare un cuoco e di farlo ai massimi livelli: «Sono quindi partito per inseguire la mia passione: ho lasciato la mia casa e mi sono trasferito a Roma prima e a Parigi poi, in cerca di esperienze che mi formassero», spiega. Perché solo dopo anni di gavetta, dura e non troppo ben retribuita, accade di poter svolgere questo mestiere, guidati da una passione assolutamente necessaria. Nella brigata (cioè la squadra della cucina) si entra come apprendisti e si scala la gerarchia, fino a raggiungere la vetta, quella degli executive chef, i “direttori creativi” della cucina.

UN LAVORO DURO
Quello dello chef è un mondo fatto di prelibatezze, studio della materia prima, presentazioni dei piatti, colori e sapori intensi. Ma è anche un lavoro molto duro, più di quanto naturalmente sia possibile far vedere in tv: «Non si direbbe, ma richiede una grande resistenza fisica, oltre che psicologica. Lavoro dalle 16 alle 18 ore al giorno, a volte saltando anche i pasti e restando in piedi per lungo tempo», racconta Domenico.
Il numero di ore di lavoro è poi spesso determinato dalle fasi di preparazione di un piatto, che vanno seguite passo dopo passo. Una routine complessa, stressante, con molte cose da gestire e tutte insieme, a ritmi molto veloci. Tante, poi, anche le rinunce: «La mia vita sociale è cambiata quando ho cominciato a lavorare, a sacrificare il mio tempo libero e a fare una vita diversa da quella dei miei coetanei – dice – col tempo ti ci abitui, hai ritmi diversi e devi adattarti».

SAPORI DI CASA
I ristoranti stellati hanno delle regole molto precise: «L’executive chef decide – spiega – sceglie i piatti, organizza la sua cucina, io sono un suo esecutore». I sapori e i profumi della Basilicata fanno comunque parte del background di Domenico: «Sono elementi imprescindibili, che porto con me e che caratterizzano lo stile della mia cucina: i sapori delicati, il profumo del timo, c’è un po’ di Murgia e di Italia in tutti i miei piatti».
Alla domanda su chi prepara da mangiare quando torna a casa risponde: «Assolutamente mia madre, la regina della cucina è lei. E a me piace essere coccolato e, soprattutto, gustare quei sapori che, nella loro semplicità, mi scaldano ancora il cuore. Poi se cucinassi io, disordinato come sono, sarebbe tutto da rimettere a nuovo: questo forse è un altro motivo per cui preferiscono tenermi lontano».
Domenico a Copenaghen continua a sognare in grande, ma ora lo fa dalla cucina di un ristorante stellato.

 

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Categorie: Lavoro

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