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17 Dicembre 2020

Natale senza Amazon: i motivi della campagna social

Equità, rispetto per il lavoro, contenimento delle emissioni sono i punti centrali del movimento in supporto dei commercianti al dettaglio

Valeria Guardo

Icona app Amazon

La campagna #natalesenzaamazon è nata in Francia

Per un Natale senza Amazon” è l’appello nato in Francia (Pour un Noël sans Amazon) da un collettivo di personalità politiche e culturali, associazioni ambientaliste e consumatori che ha riecheggiato in tutta Europa e in Italia grazie all’hashtag #natalesenzaamazon, a favore delle piccole e medie imprese.
All’origine della petizione francese, la questione legata al potere delle piattaforme web e l’esigenza europea di regolamentarne in modo equo accessi e attività. Problema cruciale anche nel nostro paese, se si pensa all’allargarsi del divario logistico ed economico tra il colosso dell’e-commerce e i commercianti locali da inizio pandemia.

La seconda ondata di Covid ha favorito enormemente gli acquisti sul web in vista del Black Friday e del Natale, creando uno squilibrio di concorrenza grave tra le grandi piattaforme e i negozi reali: mentre questi ultimi hanno subito in toto le restrizioni e navigano ancora in acque molto incerte, Amazon ha invece assunto il monopolio degli acquisti online, con il titolo che in borsa da febbraio ad agosto 2020 ha registrato una crescita del 55%.
Gli oppositori della campagna sostengono che non vi sarebbe nulla di sbagliato e che anzi le piccole e medie imprese nostrane dovrebbero prendere esempio per adattarsi a un mercato in costante evoluzione. Inoltre, le grandi realtà come Amazon creano posti di lavoro. Quindi gli unici scontenti rimarrebbero gli ambientalisti, eterni fedeli al commercio a Km 0. Come spesso accade, però, la realtà è ben più complessa e sia in tema di fiscalità che di politiche del lavoro ed ecosostenibilità, Amazon non sembra essere un esempio virtuoso.

Grazie a un meccanismo complesso di crediti e agevolazioni, negli ultimi anni l’azienda di Jeff Bezos non ha versato le tasse federali in Usa mentre in Europa, nonostante un giro di affari di 4,5 miliardi di dollari, le società di diritto della multinazionale hanno pagato imposte pari a 11 milioni di euro, una percentuale molto esigua.
Grazie a quella che in finanza è chiamata “ottimizzazione fiscale”, le imprese come quella di Seattle riescono a distribuire gli utili (tassabili, al contrario dei ricavi) nei paesi che godono dei loro servizi dove il prelievo fiscale è bassissimo. Ciò è possibile ponendo al centro delle attività europee il Lussemburgo, stato che garantisce un certo margine di segretezza sulle attività bancarie. Il tutto, ovviamente, sfavorendo le economie locali.

Amazon è inoltre da tempo al centro di forti critiche sulle condizioni di lavoro nei centri logistici, e sempre più numerose sono le petizioni da dipendenti in tutto il mondo. Durante la prima ondata della pandemia, il gruppo di lavoratori Amazon Workers International ha redatto una Dichiarazione comune in 7 lingue per denunciare le mancate misure di sicurezza sanitaria e sociale all’interno dei magazzini della società in molti paesi. Testimonianze sulla politica del lavoro aziendale sono state riportate da diverse testate già da prima della diffusione del virus: nel nostro paese il caso del centro di Passo Corese ne ha fornito uno spaccato esaustivo.
Oltre a ritmi insostenibili, mobbing e falsa meritocrazia, l’emergenza sanitaria avrebbe riportato a galla un’ulteriore criticità: la mancanza di rappresentazione sindacale. Infatti Amnesty International denuncia il contrasto da parte di Amazon dei tentativi dei lavoratori di organizzarsi attraverso minacce di provvedimenti disciplinari e azioni legali.

Infine, il “tutto e subito” degli acquisti web ha un notevole costo in termini di emissioni. Se un tempo un camion per completare la consegna dell’ultimo miglio era pieno fino all’orlo e serviva più luoghi, ora per le consegne rapide gli stessi camion girano vuoti: da un furgone in più posti si è passati a più furgoni nello stesso posto.
Solo nel 2019, le consegne di Amazon hanno prodotto 44 miliardi di tonnellate di CO2 con il servizio base (non Prime) . Inoltre, il peso del packaging è triplicato, i materiali per realizzarlo sono difficilmente smaltibili e le emissioni correlate sono 10 volte superiori al vecchio sacchetto di plastica (182 kg di CO2 vs 11 kg).

Il cashback promosso dal governo non vale per le spese online: un motivo in più per acquistare nel negozio sotto casa.

 

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Categorie: Economia

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