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21 Gennaio 2021

I 75 anni di David Lynch, genio del surreale

In occasione del compleanno del regista ripercorriamo la sua straordinaria carriera, da Eraserhead a Mulholland Drive, passando per Twin Peaks

Gabriele Costa

David Lynch

David Lynch

Se Stanley Kubrick era un tuo fan, le cose sono due: o uno tra i più grandi registi di tutti i tempi era in preda a qualche trip allucinogeno, oppure sei davvero un genio. Avendo compiuto ieri 75 anni, possiamo dire con consapevolezza che David Lynch è un uomo che ha sempre seguito le sue regole, ma che della sregolatezza e dell’allucinazione ha fatto un marchio di fabbrica della sua poetica cinematografica.

In realtà da giovane Lynch vuole fare l’artista e rimane particolarmente colpito dalla pittura, arrivando a definire Francis Bacon il suo eroe. Decide quindi di frequentare un istituto d’arte a Washington e in seguito approda alla Pennsylvania Academy of Fine Arts, dove conosce la moglie Peggy Lentz che sposerà a soli 21 anni.
Una volta, mentre dipinge, con la coda dell’occhio vede le immagini “muoversi” sulla tela, così decide di dedicarsi anima e corpo al cinema.

Eraserhead (1977) è il titolo della sua prima pellicola, che mescola surrealismo e mondo onirico. La produzione richiede cinque lunghi anni, durante i quali Lynch riesce a trovare finanziamenti in maniera fortuita ed è costretto a dormire sul set, avendo perso casa e facendo piccoli lavori per guadagnarsi da vivere in mezzo alle riprese.

Tanta tenacia viene però ampiamente ripagata, perché il titolo diventerà un cult, tanto che lo stesso Kubrick lo definirà il suo “film preferito”. Il significato della sua trama, però – la vita surreale e grottesca di un uomo e del suo mostruoso figlio – anche a più di quarant’anni della sua uscita rimane ancora un mistero irrisolvibile anche dallo stesso Lych, che non rilascia mai alcuna spiegazione delle sue opere.

L’alienazione, l’esaltazione del diverso, il surreale che si fa vero: la poetica che caratterizzerà tutti i film seguenti è ancora più chiara in The Elephant Man (1980), biopic sulla vita di Joseph Merrick, uomo affetto dalla rara malattia congenita della neurofibromatosi, che diventa occasione per raccontare una storia di profonda umanità e lirismo. La pellicola è un successo clamoroso: se con Eraserhead il regista aveva conquistato le sale d’essai, è con questo film che il suo successo raggiunge i riflettori di Hollywood e diventa incontenibile.

Da allora Lynch indovina un successo dopo l’altro: il capolavoro noir Velluto blu (1986), il road movie delirante Cuore selvaggio (1990), e l’intreccio meta-cinematografico di Mulholland Drive (2001).

Non soddisfatto, il regista decide anche di rivoluzionare il concetto stesso di serie televisiva con quella che è considerata una delle più innovative di sempre: stiamo parlando di Twin Peaks (1990-91), che in sole due stagioni riesce ad avere un successo mondiale.
In questo caso siamo di fronte a una vera e propria tragedia corale, in cui le vite di una piccola cittadina nel cuore degli Usa si intrecciano inesorabilmente in un confine molto labile tra esoterismo e quotidiano, reale e immaginifico. Nel 2017 la serie si conclude con una terza parte, ambientata 25 anni dopo la storia precedente e che vede il ritorno di Kyle MacLachlan nei panni dell’agente Dale Cooper e di tutto il cast originale.

È però nel suo film forse meno conosciuto che Lynch dimostra il suo lato più umano e sensibile: Una storia vera (1999) è la commovente storia del contadino Alvin Straight, che a 73 anni decise di viaggiare 386 chilometri a bordo di un trattore tosaerba per andare a trovare il fratello, reduce da un infarto. Il road movie è un lento e solare viaggio durante il quale il protagonista incontrerà un carosello di personaggi e situazioni… assolutamente normali.
La normalità non è meno straordinaria: è il messaggio che lo stesso regista sembra lasciarci in questo pellicola, dopo gli incubi onirici e le deformazioni percettive della sua comfort zone, ricordandoci di prenderci il tempo necessario per quelle attività che spesso trascuriamo e di coltivare i rapporti della nostra vita. Passo dopo passo, lentamente come il trattore di Alvin: chi va piano va sano e lontano, come dice il famoso detto. E David Lynch, a 75 anni e con tutto quello che ha vissuto, lo sa bene.

 

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Categorie: Cultura

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