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9 Aprile 2021

Quante donne che lavorano hanno la Sindrome dell’impostore?

Secondo alcuni studi, una costante insicurezza e la sensazione di non meritare quanto si ha possono influire sulla carriera di molte lavoratrici

Valeria Guardo

Donna che si nasconde dietro a porta - Sindrome dell'impostore

La Sindrome dell’impostore spesso riguarda donne in carriera

Sentirsi sempre inadeguati, mai all’altezza di nessun compito o responsabilità, dubitare sistematicamente delle proprie capacità. In alcuni casi questo atteggiamento può diventare una vera e propria condizione psicologica detta Sindrome dell’impostore, studiata per la prima volta nel 1978 dalle psicologhe americane Pauline Clance e Suzanne Imes.

In ambito lavorativo, questo schema mentale può addirittura portare a vivere nel terrore che, prima o poi, colleghi e superiori inizino a pensare che dietro a successi ottenuti ci possano essere degli imbrogli. Il cosiddetto “impostore”, infatti, attribuisce ogni successo a una causa esterna a sé: la fortuna o l’aiuto altrui e anche qualora sia consapevole dei propri meriti, penserà che “in fondo, non è nulla di che…”. Al contrario, di fronte al fallimento si incolperà di negligenza e impreparazione, di aver fatto un passo falso o di mancanze varie. Ciò porterebbe a stress, ansia patologica e depressione.

Clance e Imes hanno riportato un’incidenza maggiore del fenomeno tra le donne, in particolare tra quelle con una carriera brillante e una lunga serie di successi alle spalle. Secondo lo studio, le cause risiedono nelle dinamiche familiari che, seppur diverse da nucleo a nucleo, portano a risultati simili e cioè all’interiorizzazione di uno stereotipo o ad aspettative legate al genere.

Di quali aspettative parliamo? Secondo una ricerca, fin dall’università i ragazzi tendono ad attribuire ogni successo a forti spinte interne e quindi al proprio impegno, a intelligenza e bravura. I fallimenti, invece, dipenderebbero dalla sfortuna o dal livello eccessivamente complicato del compito da affrontare.
Si tratta di un modello estrapolato da un contesto molto americano dove, nel tentativo di costruire una self-confidence in grado di rispondere alle richieste della società, l’ego del giovane maschio viene letteralmente “pompato”.

Nell’inconscio delle ragazze invece, si viene a creare la necessità di essere eccellenti nel percorso accademico come modalità di riscatto e di dimostrazione della propria bravura di fronte ai genitori che, fino a non troppi decenni fa, lesinavano sull’istruzione delle figlie davanti alla priorità di formarle come madri di famiglia.
Come in un meccanismo a catena, si alimenta allora un altro stereotipo: quello della donna regina del multitasking, abile nel svolgere più compiti in un lasso di tempo, più efficientemente e spesso in condizioni psico-fisiche non sempre ottimali.

La realtà, però, è un’altra. Non esistono prove che le donne siano più abili rispetto agli uomini, esistono solo aspettative più alte nei loro confronti, proprio perché esse “devono” dimostrare qualcosa in più per essere considerate alla pari della controparte maschile. Ciò le porta a esigere di più sia da se stesse che dalle altre donne, spinte da un estremo senso del dovere, dal terrore di essere giudicate, e quindi dalla paura costante di non essere all’altezza.

In un articolo avevamo parlato dell’esigua rappresentatività delle donne nell’area Stem (Science, Technology, Engineering and Mathematics), ma perché questo fenomeno? In un contesto dove la presenza maschile è schiacciante e gli stereotipi sessisti sono reali ma spesso difficili da dimostrare, la mediocrità non è contemplata. Ecco spiegato perché a volte le donne non si candidano per ricoprire posizioni per le quali non soddisfano il 100% dei requisiti; sentono di non essere perfettamente preparate, mentre colleghi uomini spesso si candidano pur possedendo solo il 60% (o anche meno) delle caratteristiche richieste.

Così, viene però lasciata indietro una quota consistente di potenziali professioniste, che non avendo ottenuto il 110/110 con lode e menzione o non avendo pubblicato articoli scientifici non si sentono all’altezza, pur avendo magari anni di esperienza e gavetta alle spalle.
Non solo: nelle donne lo schema dell’impostore può agire anche in una vita lavorativa già avviata – ad esempio quando si vorrebbe chiedere un aumento di stipendio, un giorno libero o addirittura un periodo di aspettativa – attraverso il senso di colpa e la sensazione di essere sfacciate o ingrate per quello che si ha.

Per invertire la marcia allora le parole d’ordine devono diventare fiducia in se stessi, consapevolezza e autodeterminazione.

 

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Categorie: Lavoro

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