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21 Settembre 2021

Cop e Ipcc: piccola guida alla diplomazia climatica

Hanno un ruolo centrale nella lotta al riscaldamento globale ma forse non tutti conoscono queste sigle, che indicano la conferenza annuale sul clima e gli studi degli esperti

Fabiana Re

Locandina Cop26

La Cop26 si svolgerà a Glasgow a inizio novembre

“Dopo il report dell’Ipcc, la Cop26 deve agire”. Se anche voi di recente avete sentito delle frasi simili senza riuscire a decifrarle, state leggendo l’articolo giusto. Dietro a queste sigle, di grande attualità in questi mesi, di celano gli attori chiave della “climate diplomacy”, quel processo di negoziazione tra i governi mondiali per stringere accordi finalizzati alla lotta al cambiamento climatico. Vediamo di cosa si tratta.

LA COP
La Cop è la conferenza annuale sul clima delle Nazioni Unite. I cambiamenti climatici sono un problema mondiale, di conseguenza anche le azioni necessarie per contrastarli devono essere definite su scala globale e coordinare gli sforzi di tutti gli Stati. Quale sede migliore per la diplomazia climatica se non l’Onu?
È il 1992 quando a Rio i suoi stati membri adottano la Unfccc, la United Nations Framework Convention on Climate Change. È stata sottoscritta a oggi da 195 paesi, definiti “Parti della Convenzione”, che si riuniscono annualmente nella Cop, ovvero la Conference Of Parties.
L’obiettivo di ogni conferenza è quindi valutare se negli ultimi 12 mesi gli stati firmatari si siano mossi nella direzione giusta nel contrastare l’emergenza climatica e definire le azioni successive. Le Cop sono numerate progressivamente, con la prima tenutasi nel 1995; importanti sono state la Cop3, che ha dato vita al Protocollo di Kyoto, e la Cop21 del 2015, sfociata nell’Accordo di Parigi.

APPUNTAMENTO A GLASGOW PER LA COP26
In questi giorni si è tornati a parlare di Cop non per caso. Cresce infatti l’attesa per la Cop26 di Glasgow, che si terrà tra il 31 ottobre e il 12 novembre prossimi. In realtà si sarebbe dovuta svolgere nel 2020, ma la pandemia ha costretto a rimandare questo importante appuntamento.
Sul proprio sito la Conferenza annuncia obiettivi altisonanti: assicurare uno scenario a “emissioni zero” per il 2050, sviluppare migliori politiche di adattamento ai cambiamenti climatici, rafforzare la cooperazione internazionale. I movimenti ambientalisti come i Fridays For Future sollevano però dubbi legittimi. Anni e anni di incontri hanno portato molte dichiarazioni di impegno ma pochi risultati, chissà se la Cop26 avrà esito diverso.

L’IPCC
L’urgenza dell’azione climatica è stata sottolineata dall’ultimo report dell’Ipcc. Eccoci così alla seconda criptica sigla di cui vi abbiamo promesso una spiegazione. Semplificando potremmo dire che la Cop è il braccio mentre l’Ipcc – che sta per Intergovernmental Panel on Climate Change – è la mente della climate diplomacy delle Nazioni Unite.
Creato nel 1998, è composto da migliaia di esperti di ogni nazionalità, che a titolo volontario fanno una revisione e un riassunto degli articoli scientifici sul tema del cambiamento climatico. Il risultato sono imponenti report quinquennali, detti Assessment Report, in cui sono contenute tutte le informazioni sulla situazione attuale e i rischi futuri.
Idealmente queste analisi dovrebbero essere usate dai governi nazionali come base per politiche ambientali incisive. Le loro migliaia di pagine sono perciò sintetizzate in una sorta di riassunto, il Summary for Policymakers, di più agevole consultazione. Data la sua rilevanza, esso deve essere approvato riga per riga da ogni stato facente parte dell’Ipcc e delle Nazioni Unite. Un lavoro non da poco che però ci dà la garanzia che ogni parola sia attentamente ponderata e che le sue basi scientifiche siano inattaccabili.

L’ULTIMO REPORT
L’ultimo report dell’Ipcc ha fatto tanto discutere perché i suoi toni drammatici (mai usati finora) fanno intuire che la situazione sia grave e non possa più essere sottovalutata. Pubblicato nell’agosto 2021, è dedicato ai fondamenti fisico-scientifici del climate change e i suoi numeri sono impressionanti: 234 autori principali, 14.000 studi scientifici analizzati, 3.949 pagine complessive.
Il rapporto parla di cambiamenti climatici “senza precedenti negli ultimi secoli” e “inequivocabilmente” dovuti all’azione umana. “La temperatura continuerà ad aumentare almeno fino a metà secolo” indipendentemente da quanto ridurremo le nostre emissioni. “Molti cambiamenti dovuti alle emissioni passate saranno irreversibili per centinaia o migliaia di anni”.
Non è un semplice campanello d’allarme: è un vero codice rosso. La diplomazia climatica saprà reagire?

 

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Categorie: Ambiente

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