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18 Ottobre 2021
Al Salone del Libro le voci dalle carceri egiziane
Presentata al Lingotto la prima raccolta di scritti dell’attivista Alaa Ab del-Fattah, attualmente nella prigione di Tora
Adele Geja
Venerdì 15 ottobre, nel percorso tematico Anime arabe, al Salone del Libro si è svolta la presentazione del volume Non siete ancora stati sconfitti, pubblicato dall’editore indipendente torinese Hopefulmonster e prima traduzione italiana degli scritti dal carcere di Alaa Ab del-Fattah, uno dei più noti protagonisti della rivoluzione di piazza Tahrir del 2011.
Attivista e blogger, figlio di una famiglia storicamente impegnata nella difesa dei diritti umani, l’autore ha trascorso gli ultimi sei anni nella prigione di Tora, dove si trova tuttora, come altri 60.000 detenuti politici egiziani.
Considerato da Amnesty International un “prigioniero di coscienza”, Alaa rappresenta un’intera generazione di giovani che, dopo aver vissuto la prima parte della propria vita sotto il regime di Hosni Mubarak, ha fatto la rivoluzione nel 2011 e ha assistito in seguito alla transizione democratica, rapidamente spazzata via dal colpo di stato militare nel 2013 di Abdel Fattah al-Sisi. Sono le persone che oggi si impegnano per il diritto alla dignità e alla libertà, individuale e collettiva, ponendo spesso a repentaglio la propria vita.
L’evento è stato moderato dalla giornalista Laura Cappon e ha visto la partecipazione di Elisabetta Benigni (docente dell’Università di Torino esperta di letteratura carceraria araba ed egiziana), Emanuele Russo (presidente di Amnesty International Italia) e Filippo Miraglia, (presidente di Arci Nazionale).
Tutti e tre i relatori sono stati concordi nell’affermare l’importanza di quest’opera, che offre uno spaccato sull’attuale e drammatica situazione egiziana, nota in Italia soprattutto per l’omicidio di Giulio Regeni e per la detenzione di Patrick Zaki. Ognuno di loro ha però dato un taglio personale al discorso, approfondendo aspetti specifici.
Prima a prendere la parola, Elisabetta Benigni ha spiegato che gli scritti di Alaa si inseriscono in un’illustre tradizione di letteratura carceraria (basti pensare ad Antonio Gramsci, Rosa Luxemburg, Nelson Mandela) e in un lungo filone di scritti dalle celle egiziane intensificatosi negli ultimi decenni, soprattutto in seguito alle primavere arabe.
Costretti a scrivere le loro parole su pacchetti di sigarette o pezzi di carta strappata, i detenuti politici scrivono in modo frammentario e fortemente autoriflessivo. Benché si tratti di un’esigenza, c’è comunque la coscienza di far parte di una tradizione letteraria, di cui fanno parte i moltissimi cittadini egiziani – non solo attivisti – rinchiusi ingiustamente in carcere negli ultimi dieci anni.
Tuttavia, Benigni ha messo in luce come questo libro si differenzi da tanta letteratura carceraria, di solito incentrata sull’unicità e l’eroicità del protagonista: nelle riflessioni di Alaa invece non manca mai la dimensione collettiva di un’intera generazione, a cui l’autore non fa mancare autocritiche, legate soprattutto all’eccessivo protagonismo dei rivoluzionari del 2011.
Emanuele Russo invece ha chiarito quanto sia importante quest’opera per descrivere la situazione dei diritti umani dell’Egitto odierno, soprattutto alla luce delle ultime notizie riguardo al processo contro gli assassini di Giulio Regeni. Russo ha poi apertamente condannato quella che definisce «l’ipocrisia del governo italiano» che, mentre da un lato afferma di voler difendere i diritti umani, dall’altro continua a consentire la vendita di armi all’Egitto, favorendo così la realizzazione del disegno dittatoriale di Al-Sisi. Quest’ultimo, infatti, dal colpo di stato del 2013, ha ricevuto una rapidissima legittimazione da parte della comunità internazionale e ha continuato ad alzare la posta in gioco ogni anno, rimanendo sostanzialmente impunito.
Anche Filippo Miraglia di Arci ha fatto notare che, benché le sistematiche violazioni dei diritti umani e la repressione a tutti i livelli della società siano manifeste, l’Egitto continui a essere considerato dall’Italia un paese sicuro: ciò vuol dire, ad esempio, che gli egiziani vengono automaticamente riconosciuti come migranti economici e non come rifugiati politici con diritto d’asilo. L’Italia inoltre ha siglato numerosi accordi per effettuare rimpatri dei cittadini egiziani.
Tuttavia Miraglia ha spiegato che, proprio perché provenienti dall’Italia, queste persone corrono maggiormente il rischio di subire repressioni una volta tornati in Egitto.
L’incontro si è concluso con una riflessione del presidente di Amnesty sulla necessità di continuare a lavorare per i diritti umani nonostante la difficoltà di un percorso tortuoso, che porta comunque risultati sul lungo periodo, utilizzando il libro di Alaa Ab del-Fattah come manuale di storia contemporanea e modello di attivismo.