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16 Novembre 2021

Cosa è successo alla Cop26 di Glasgow?

La decisione di rinnovare la conferenza ogni anno, impegni generici su carbone, deforestazione ed emissioni: poteva andare peggio, doveva andare meglio

Fabiana Re

Foto della Terra nello spazio - Cop26

La Cop26 ha raggiunto diversi accordi ma molti non vincolanti

La parata di leader mondiali, i grandi discorsi, l’atmosfera elettrica impregnata di senso di urgenza. Forse abbiamo riposto troppe aspettative nella Cop26 di Glasgow? Sembrava potesse essere la svolta nella lotta al cambiamento climatico. E invece il vertice si conclude con le parole amare del suo Presidente Alok Sharma: «Sono profondamente dispiaciuto. Davvero».
I negoziati si sono prolungati di un giorno, nel tentativo di appianare le divergenze politiche ed economiche tra i paesi al tavolo delle trattative. Il risultato arriva nella serata di sabato 13 novembre: un documento di 10 pagine, il Glasgow Climate Pact, che viene marchiato subito da Greta Thunberg come «l’ennesimo bla, bla, bla», mentre la portavoce di Fridays For Future Italia Martina Camporelli ribattezza il meeting “Flop26”. Ma proviamo ad andare oltre il linguaggio retorico e capire cosa è stato deciso alla Conferenza per il Clima delle Nazioni Unite.

ABBIAMO UN PROBLEMA CON IL CARBONE
Primo segnale positivo: l’accordo finale è stato firmato da tutti i 196 stati partecipanti, un bel passo avanti rispetto all’ultima Conferenza di Madrid, conclusa senza alcuna intesa. Almeno sulla carta tutti riconoscono la necessità della transizione ecologica, si impegnano a non superare i +1,5°C di riscaldamento globale e concordano sulla necessità di ridurre l’uso del carbone e i sussidi ai combustibili fossili.
Mancano però chiari riferimenti alle azioni pratiche da implementare per centrare questi obiettivi. A far discutere è soprattutto il giochetto linguistico dell’India, negli ultimi minuti delle negoziazioni, che fa correggere l’accordo sull’eliminazione del carbone cambiando una sola parola: da “phase-out” (eliminazione graduale) a “phase-down” (riduzione graduale). Già nei giorni precedenti India e Cina, fortemente dipendenti da questo combustibile fossile, avevano messo in chiaro di poter raggiungere la neutralità climatica non prima rispettivamente del 2070 e del 2060.
«La Cop26 deve avere l’obiettivo di tenere i combustili fossili sottoterra. Tutto il resto è distrazione», avvertiva a inizio vertice il giornalista ambientale George Monbiot. Con la legittimazione in corner dell’uso del carbone, si può dire che in tal senso la conferenza è stata un fallimento.

LUCI E OMBRE
Il vertice di Glasgow ci ha anche regalato alcuni momenti di ottimismo. Innanzitutto, la decisione di aggiornare gli obiettivi nazionali di riduzione delle emissioni non più ogni 5 anni, come deciso a Parigi nel 2015, ma ogni anno. È un altro segnale della necessità di agire in tempi brevi. Anche perché già nei prossimi anni bisognerà fare importanti tagli, come la diminuzione del 45% delle emissioni di gas serra entro il 2030, rispetto ai valori del 2010.
Ci sono poi state un paio di intese interessanti firmate da gruppi di Stati. Oltre 100 nazioni – tra cui saltano all’occhio Brasile, Indonesia e Repubblica Democratica del Congo – hanno promesso di azzerare la deforestazione entro il 2030. L’impegno non è però vincolante e ricalca un accordo simile stretto nel 2014, mai rispettato. Stati Uniti e Unione Europea hanno inoltre stretto il Global Methane Pledge, impegnandosi a tagliare le proprie emissioni di metano del 30% entro il 2030. Anche qui un’ombra: mancano Cina, India, e Russia, grandi emettitori di questo gas serra.
Sul piano simbolico è notevole infine il patto tra Cina e Stati Uniti per rafforzare la cooperazione climatica. Si tratta di una dichiarazione d’intenti che però ha un significato geopolitico innegabile: sebbene le relazioni tra i due stati siano piuttosto tesi, entrambi riconoscono la necessità di dialogare per risolvere un problema che tocca ogni angolo del pianeta.

UN BILANCIO DIFFICILE
Quali conclusioni trarre sull’esito della Cop26? C’è chi vuole vedere il bicchiere mezzo pieno, riconoscendo che per la prima volta dopo Parigi 2015 si è instaurato un dialogo costruttivo tra i Paesi. Inoltre è ancora viva la speranza di non sforare i +1,5°C di riscaldamento globale, anche se come ammette Sharma «il battito è debole». Il Primo Ministro britannico Boris Johnson parla di un grande passo avanti, addirittura dell’«inizio della fine del cambiamento climatico».
La verità è forse un po’ più cruda. Si sarebbe dovuto raggiungere questo livello d’intesa almeno un decennio fa, per arrivare al 2021 con impegni più forti e vincolanti. Invece ancora una volta siamo di fronte a un accordo lacunoso, con troppi pochi obblighi per le nazioni e insufficiente forza di volontà. Le discussioni verranno riaperte nel 2022 alla Cop27, ospitata dall’Egitto. Intanto il tempo continua a scorrere.

 

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Categorie: Ambiente

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