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30 Novembre 2021
La disinformazione climatica viaggia su Facebook
Un report della no-profit ambientalista Stop Funding Heat denuncia il proliferare sul social di contenuti falsi o ingannevoli sul riscaldamento globale
Fabiana Re
Pensate se, ogni giorno, più di un milione di persone leggesse informazioni fuorvianti sulla crisi climatica e si convincesse che il riscaldamento globale non esista o che non si tratti di un problema così grave.
Purtroppo più che un’ipotesi è una realtà. Dietro questo flusso di disinformazione c’è Facebook, il social network più usato al mondo con i suoi 2,9 miliardi di utenti attivi. A svelarlo è il report In denial della no-profit ambientalista Stop Funding Heat.
I NUMERI DEL REPORT
Il report parla di un’amicizia “sempre più stretta” tra il colosso di Zuckenberg e la disinformazione climatica. La denuncia è supportata dall’analisi di un dataset di oltre 195 pagine e gruppi Facebook. Una quarantina di questi svolgono un’attività di disinformazione full-time e hanno nomi curiosi, quali Il cambiamento climatico è naturale, Realismo climatico, o ancora Il cambiamento climatico è una ca****a. I restanti sono pagine e gruppi gestiti da media o figure politiche di destra e condiscono i loro contenuti con un pizzico di informazioni fuorvianti: un meme su Greta Thunberg qua, una frase negazionista là…
I quasi 50mila post oggetto del report hanno ricevuto in media tra 800mila e 1,36 milioni di visualizzazioni al giorno. Moltiplicate questo dato per 8 mesi – l’arco temporale in cui è stata condotta la ricerca – ed emerge la portata sconcertante della disinformazione climatica online. Per di più, secondo Stop Funding Heat, le interazioni per post sono aumentate del 76,7% nell’ultimo anno: esiste quindi una nutrita platea di utenti che non solo consuma informazioni false, ma le condivide e le commenta. Il report punta inoltre il dito contro le inserzioni a pagamento con messaggi negazionisti: sono 113 nel solo 2021.
COS’È LA DISINFORMAZIONE CLIMATICA?
È necessario a questo punto chiarire che cosa si intende con il termine disinformazione climatica. Non ci riferiamo solamente al negazionismo puro, quello che strilla “Il cambiamento climatico non esiste!” deridendone le basi scientifiche. Esistono infatti forme più sottili, basate sulla diffusione di contenuti ingannevoli o parziali allo scopo di ritardare l’azione climatica.
Qualche esempio? Le politiche ambientali sono troppo costose e inefficaci, gli ambientalisti sono corrotti, le energie rinnovabili sono inaffidabili… Le declinazioni sono potenzialmente infinite, ma non meno dannose del negazionismo assoluto, ormai fuori moda. Anzi, la loro forza persuasiva le rende addirittura più pericolose.
LA REPLICA DI FACEBOOK
Facebook non ha assistito in silenzio alle accuse mosse nei suoi confronti, sottolineando il suo impegno nel contrasto alla disinformazione e sventagliando il suo team di fact-checker (verificatori) sempre al lavoro per segnalare contenuti negazionisti.
Al contempo il Csc – Climate Science Center, creato dal social network lo scorso anno, fornisce ai suoi utenti dati affidabili sul cambiamento climatico. Con fierezza Facebook ha annunciato che il Csc verrà a breve esteso a nuovi stati, tra cui Spagna e Belgio. Stop Funding Heat replica sottolineando che il Csc conti appena 100mila visitatori al giorno, ben pochi se confrontati con i numeri raggiunti dai contenuti fuorvianti sulla piattaforma. Inoltre il fact-checking è rivolto per lo più ai post in lingua inglese, sebbene solo il 9% degli utenti usi questa lingua.
Un altro grave problema è la mancata adozione da parte di Facebook di una definizione precisa di disinformazione climatica. La conseguenza è evidente: una rete di controllo con maglie troppo larghe, dalla quale passano senza intoppi affermazioni false o ingannevoli.
LE SOLUZIONI POSSIBILI
L’impatto di Facebook sulla società è troppo grande per poterlo ignorare. Come si legge sul report, “poiché è una delle più grandi imprese al mondo, ha la responsabilità di essere un attore positivo” nella lotta al riscaldamento globale. Per questo Stop Funding Heat chiede al social network di intensificare le ricerche interne sulla disinformazione climatica e di bandire ogni forma di sponsorizzazione a tali contenuti.
Già nel maggio 2021 l’ente no profit aveva evidenziato questi problemi, senza però suscitare alcun cambiamento nelle politiche di Facebook: “Il miglior momento per agire era anni fa. Il secondo miglior momento è adesso”, avverte.