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23 Settembre 2024
True crime: perché affascina così tanto?
La psicologia ci aiuta a capire perché il racconto di storie criminali appassioni un pubblico crescente, con rischi però per la salute mentale
Egle Amari
Quando si parla di true crime (dall’inglese crimine reale) si fa riferimento a un genere di intrattenimento – es. podcast, serie tv, documentari – che, raccontando fatti di cronaca nera in modo più o meno accattivante, è riuscito negli ultimi anni a catturare la curiosità e l’interesse di un pubblico sempre più vasto.
Gli esempi sono tanti: basti pensare che la torinese Elisa De Marco, conosciuta come Elisa True Crime, ha raggiunto la sua popolarità grazie a Youtube, dove i suoi video sui fatti di cronaca con intro d’effetto le hanno fatto raggiungere oltre 1 milione di iscritti.
Un podcast molto conosciuto è invece Demoni Urbani di Francesco Migliaccio, che racconta storie di true crime anche poco conosciute provenienti da tutto il mondo.
Passando poi alle docuserie, una che ha avuto un notevole riscontro di pubblico è Per Elisa – Il caso Claps, ora su RaiPlay, dedicata alla vicenda di Elisa Claps, una ragazza di 16 anni scomparsa nel 1993 a Potenza, i cui resti sono stati ritrovati 17 anni dopo nella soffitta di una chiesa. Se invece cerchiamo puro intrattenimento non possiamo non citare Only Murders In The Building, titolo di Disney+ che segue le avventure di tre amici appassionati di true crime e alle prese con veri omicidi.
La domanda che sorge spontanea è: come mai questo genere piace così tanto? Tanto interesse può essere ricondotto a diversi fattori psicologici.
In primo luogo, si tratta di un genere di intrattenimento che permette di esplorare parti “nascoste” di se stessi. Nella nostra società l’emozione della rabbia è da sempre connotata negativamente, come uno stato d’animo che deve essere represso e non mostrato. Il true crime permette, in una qualche misura, di proiettare e di “liberare” questa emozione nel racconto.
Inoltre, l’esposizione al true crime consente di esplorare possibili pericoli e di entrare in contatto con le paure più profonde in modo “controllato” e sicuro, perché tutto avviene attraverso il filtro di un racconto. Con il true crime si vivono emozioni forti come la suspense e la paura, che permettono di vivere esperienze stimolanti e intense, creando un senso di gratificazione e la sensazione di “sentirsi vivi”.
Un altro fattore che entra in gioco è l’empatia. Attraverso il racconto di un fatto di cronaca si tende a sviluppare un’immedesimazione con le vittime e i loro familiari. Questo è collegato a un altro fattore, la tendenza ad analizzare il comportamento umano: spesso gli appassionati di questo genere fanno una serie di ipotesi sul perché il killer abbia agito in quel modo, sul comportamento che ha tenuto e provano a pensare se fossero stati presenti dei campanelli d’allarme prima del fatto. Oltre al comportamento, ciò che “affascina” è la psiche del killer e, anche in questo caso, vengono fatte congetture circa eventuali disturbi preesistenti.
Nell’ultimo periodo, alcune docuserie sono realizzate quasi a “giustificare” il killer solamente perché magari ha un certo fascino. In psicologia ciò viene chiamato ibristofilia, cioè la tendenza a provare attrazione verso persone che hanno compiuto crimini.
Nonostante la vasta diffusione, una sovraesposizione al genere true crime può avere effetti negativi sulla salute mentale. Recenti studi hanno evidenziato che a lungo termine può portare una minore empatia e un’assuefazione agli episodi di violenza. Un’altra conseguenza è un aumento dell’ansia, in termini di percezione distorta del pericolo e isolamento sociale; poi ancora disturbi del sonno, attacchi di panico, paranoia, ma anche dipendenza e ossessione dai contenuti in questione.
Quindi il consiglio è quello di non esagerare con questo genere di intrattenimento, tenendo sempre ben presente la differenza fra realtà e racconto.