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14 Settembre 2013

Domenico Quirico, la prigionia siriana raccontata al pubblico

Il giornalista della Stampa rapito in Siria ieri sera ha parlato pubblicamente della propria esperienza a un vario e affezionato pubblico in Piazza Carignano

Nicola Veneziano e Francesca Palumbo

Domenico Quirico risponde alle domande di Mario Calabresi, direttore della Stampa

Dopo 5 mesi di prigionia nell’inferno siriano, 152 giorni di umiliazioni e paura in un luogo che ora si è completamente perso nel Male e nel caos, l’inviato della Stampa Domenico Quirico è tornato ieri sera a parlare da uomo libero al Teatro Carignano, raccontando e ripercorrendo quei giorni terribili, rispondendo alle domande del suo direttore, Mario Calabresi, di fronte ad un vasto pubblico.
Coloro che non hanno avuto modo di sedere all’interno del teatro sono rimasti fuori, partecipando grazie ad un megaschermo o seguendo l’evento via streaming sul sito della Stampa.

UNA “DOPPIA PRIGIONIA”
L’intervista a Domenico Quirico ricalca i numerosi pezzi che sono usciti in settimana sulla Stampa, nei quali vengono raccontate le sofferenze subite dal giornalista cuneese e tutte le sue sensazioni e riflessioni, che possono essere solo il frutto di una lunga cattività, nelle mani di feroci aguzzini, ribelli allontanatisi dal loro obbiettivo primario, traditori del loro stesso messaggio e di un uomo che era in Siria per documentarne il percorso storico.
«Loro erano prigionieri di quel mondo, tanto quanto lo ero io dei miei rapitori», ha dichiarato il giornalista, sottolineando il concetto di “doppia prigionia” di un paese ormai allo sbando, in cui nessuno più sa per che cosa sta combattendo.
Il suo racconto comincia con l’autocritica, «La vanità del mio mestiere, che ha procurato dolore ai miei cari» perché da qui comincia la sua triste storia: da un viaggio verso Damasco, per raccontare per primo e di prima mano la battaglia decisiva della guerra siriana. Questo è il momento in cui la rivoluzione lo tradisce, vendendolo a quello che lui definisce l’Orco di questa storia: l’emiro Abu Omar e i suoi predoni. Da lì un lungo esodo attraverso il deserto, la nottate in piccoli stanzini caldi come l’inferno e la luce sempre accesa, le botte e le umiliazioni, tutto ciò che aliena l’essenza stessa della vita. Pochi momenti di umanità, ancora minori quelli di gentilezza: il suo aguzzino che chiama la madre e in una città sotto assedio si abbandona al pianto e quel miliziano che gli consegna il cellulare per poter chiamare per pochi attimi la moglie: gocce di calore umano in un deserto di male.
Il suo racconto vive di momenti eterogenei: nemmeno il miglior scrittore di thriller potrebbe trasmettere la sensazioni di suspense delle sue tentate fughe, che convivono con le riflessioni sulla presenza di Dio, che «non è un supermercato nel quale chiedi di tutto, ma è nell’attendere il suo insegnamento». Unici compagni di questo inferno i suoi libri («L’errore capitale dei miei carcerieri nel lasciarmeli, mi hanno mantenuto vivo») che l’ultimo giorno di prigionia ha dovuto abbandonare, con gli stracci che gli avevano messo indosso i predoni.
Alla fine non sono nemmeno mancati momenti di leggero divertimento, quando Quirico e Calabresi hanno raccontato di quando Domenico ha scoperto come era andato avanti il mondo: le drammatiche vicende egiziane, i cambiamenti sostanziali ma sempre uguali della politica italiana. E proprio da qui è emerso tutto il desiderio dell’ex rapito di tornare a fare il proprio mestiere, di non dover più dire di “essersi perso qualcosa” che avveniva nel mondo.

I GIOVANI SIRIANI
La serata si conclude con una nostra domanda sulla generazione di ventenni siriani, a cui Domenico Quirico risponde: «La generazione di giovani in Siria non é ancora morta, ci sono ancora persone che credono nella lotta contro questo regime. Purtroppo molti di questi giovani sono martiri, hanno abbandonato i libri universitari per imbracciare i fucili, per affrontare miliziani, jihadisti, mercenari e predoni. E noi occidentali – conclude – quando avremmo dovuto aiutarli, li abbiamo abbandonati nella loro lotta. Molti giovani che hanno ingrossato le file dei predoni hanno creduto nella rivalsa sociale, é il brutto delle guerre civili, come è successo da noi nel ’43 e ’44».

UN PUBBLICO AFFEZIONATO E CURIOSO
Eterogeneo come il suo racconto era il pubblico che ha affollato il teatro Carignano e la piazza; molto forte la presenza giovanile. «Mi interessa soprattutto la testimonianza diretta di quello che succede in Siria – ci racconta Danilo, 26 anni, prima che inizi l’incontro – e in generale seguo tutte le vicende mediorientali e sono curioso di sapere qual è la sua opinione sulla rivoluzione siriana». La curiosità di sentire il racconto di Quirico di prima mano ha spinto anche Nicola e Marta, 27 e 23 anni, a venire in piazza, complice la difficoltà di trovare due biglietti.
Alla fine del toccante discorso di Quirico Veronica, 27 anni, è rimasta molto colpita «non solo per il racconto personale, ma anche per la sua analisi della questione siriana negli ultimi mesi, avevo letto gli articoli, ma alla fine la vicenda della sua cattura e liberazione mi ha toccato».
Fra i presenti sono in molti i conoscenti di Quirico venuti qui per poterlo riabbracciare, come Ottavia, 14 anni, e la sua famiglia: «Sono stati 5 mesi di tensione, abbiamo tenuto sul comodino un suo libro per tutto questo tempo per poterlo sentire, e lo abbiamo tolto solo quando abbiamo saputo che era libero». Anche Filippo, 19 anni, figlio di un giornalista della Stampa, è venuto spinto dalla curiosità: «Per sapere dalla sua voce quello che ha vissuto».


Cosa pensate voi di questa esperienza? Eravate all’incontro al Carignano?

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Categorie: Cultura

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