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30 Ottobre 2013

Elena Matassa, la poesia come passione

Una studentessa di Lettere, quinta nell’ultima edizione del Premio Nazionale di Arti Letterarie, racconta la propria esperienza nel mondo della poesia

Francesca Palumbo e Matteo Tamborrino

Premiazione Matassa

Elena (a destra) durante la premiazione del Premio Nazionale Arti Letterarie, svoltasi sabato scorso alla GAM

La Città di Torino, insieme con la Regione e la Provincia, ha organizzato in questi ultimi mesi la X edizione del Premio Nazionale di Arti Letterarie, che ha visto la partecipazione di numerosi giovani da tutta Italia. Il concorso consisteva nella produzione di testi letterari, in prosa o in versi, con il conseguente ottenimento di premi.
Ad arrivare quinta in questa edizione è stata Elena Matassa, 21 anni, di origini baresi ma residente a Torino. Noi di Digi.TO siamo andati a conoscerla, per scoprire in che modo sia nata la sua grande passione per la poesia.

Inziamo dal concorso a cui hai partecipato: com’era strutturato? Perché ti sei iscritta?
«Si tratta di un concorso letterario su scala nazionale, indetto dall’associazione culturale torinese “Arte città amica”, suddiviso in quattro sezioni: prosa edita, poesia edita, prosa inedita e poesia inedita. Io ho vinto il quinto premio per quest’ultima categoria. Personalmente prima di questa esperienza non avevo mai partecipato a concorsi, anzi, è solo da pochi mesi che ho iniziato a sottoporre le mie poesie alla lettura e al giudizio degli altri. È stato un passo importante e faticoso, ma ne è valsa davvero la pena: il confronto mi ha aiutata e stimolata. Detto questo, partecipare al concorso non è stata un’idea mia, ha organizzato tutto mio padre. Forse da sola non avrei trovato la spinta necessaria, né il coraggio».

La poesia sembra una realtà alquanto sconosciuta fra i giovani a Torino: è veramente così?
«È un momento difficile per la poesia. Frequento ambienti nei quali si legge e ci si confronta, come per esempio il Circolo dei Lettori, ma la presenza di giovani in questi luoghi tende a scarseggiare. Insomma, non credo che ci siano dei veri movimenti o delle iniziative giovanili organizzate sul piano della poesia, almeno non sostenute da istituzioni o associazioni a me note. D’altro canto, mi sento di dire una cosa molto importante e positiva: ho conosciuto diversi miei coetanei che coltivano intimamente la poesia e questo incontro è stato fondamentale per me, per noi; capita spesso che ci si incontri per discuterne, per “leggerci”, per chiederci cosa sia la poesia oggi. Noto, tra molti di noi giovani appassionati di letteratura e scrittura, una sorta di fermento che scorre in maniera sotterranea e che spero ci dia la carica per costruire un futuro fatto anche di “parole”».

Esiste un ingrediente segreto per scrivere dei bei versi?
«Credo non ci sia una ricetta, è un discorso molto personale. Per me tutto è partito da una sorta di urgenza primitiva di espressione. Mentre scrivo non mi importa tanto se ciò che creo piaccia o non piaccia, mi importa soltanto che rifletta ciò che provo in quel determinato momento. Parte da una richiesta di verità, una richiesta di sintesi che rivolgo al mondo e a me stessa. La vita solitamente lascia molte cose in sospeso, inespresse, inascoltate, mutilate; domande senza tentativi reali di risposta. La scrittura è, in questo momento del mio percorso, il luogo in cui esplorare ciò che la vita dimentica, ciò che si trova ai margini».

Di quali autori si nutre la tua vena poetica?
«Il mio bagaglio è piuttosto eterogeneo, difficilmente riesco a ricostruire un percorso chiaro, una mappa dei miei “maestri”. Il panorama moderno mi ha sempre affascinata molto. Ho studiato e amato moltissimo gli americani: Whitman innanzitutto, la Dickinson e l’estrema e angosciante Sylvia Plath. L’altro versante che resta fondamentale per la mia formazione è il mondo complesso e filosofico della poesia tedesca, Rilke è tra i miei preferiti. Ma sono anche molto ispirata dai cantautori, come il nostro Fabrizio De André o il canadese Leonard Choen».

Qual è la tua opinione riguardo chi tenta di fare della poesia, o dell’arte in generale, un mestiere? Si perde la propria forza espressiva o no?
«Non mi sono mai interrogata sulla questione. È difficile immaginare di scrivere perdendo di vista la ragione che mi spinge a farlo, non ne sarei più capace forse, non avrei molto da dire. Per questo penso che per far diventare l’arte ciò che fa guadagnare il pane bisogna essere pronti. Devi raggiungere una qualità talmente speciale da rendere ciò che esprimi importante non soltanto per te stesso ma anche per gli altri. Se si arriva a questo livello allora credo sia possibile restare integri e vendere al tempo stesso. Non so se accadrà mai per me, ma non credo sia il momento giusto per domandarselo».


Link utili:

Arte Città Amica
Concorsi letterari

Avete mai scritto poesie? Parteciperete alla prossima edizione del concorso?

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Categorie: Cultura

Commenti (2)

  1. Andrea Scorsese ha detto:

    Sarei molto curioso di leggere la poesia vincitrice e, possibilmente, vorrei chiedere all’autrice cosa ne pensa se ha mai letto Baricco, e cosa pensa di quest’ultimo.
    Grazie.

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