Home » Cultura » Gian Carlo Caselli ai giovani: “Indifferenza e opportunismo scelte perdenti”

18 Febbraio 2014

Gian Carlo Caselli ai giovani: “Indifferenza e opportunismo scelte perdenti”

Intervista all’ex Procuratore della Repubblica di Torino, che fa un appello speciale ai nostri lettori, esortandoli a usare coraggio e capacità di critica

 Tommaso Portaluri

Gian Carlo Caselli ha lasciato la magistratura lo scorso dicembre per andare in pensione

Gian Carlo Caselli è entrato in magistratura nel 1967 come giudice istruttore a Torino, occupandosi in prima persona del terrorismo durante quel periodo che, efficacemente, va sotto il nome di Notte della Repubblica. Dopo le stragi del 1992 ha chiesto il trasferimento a Palermo dove ha svolto le funzioni di Procuratore della Repubblica in una delle sedi giudiziarie più impegnate d’Italia. A seguire, solo un intervento legislativo gli ha impedito di diventare, come tutti davano per scontato, Procuratore Nazionale Antimafia, una volta andato in pensione Pier Luigi Vigna. La parte conclusiva della sua carriera si è svolta a Torino, dove ha ricoperto prima la carica di Procuratore Generale, poi quella di Procuratore della Repubblica. Il 28 dicembre 2013 ha lasciato la magistratura, andando in pensione.
DigiTO ha ritenuto importante porgli alcune domande, alla fine della carriera, sulla situazione attuale del Paese e sulle prospettive future.

Nel corso della sua carriera, lei ha fronteggiato alcuni tra i più gravi e allarmanti fenomeni criminali in Italia. Qual è il rischio maggiore che intravede per la società italiana oggi? Di contro, quali elementi positivi coglie?
«Premettendo il dato incontestabile della terribile crisi economico-sociale e di valori che oggi il nostro Paese attraversa, il rischio maggiore che intravedo è quello di una degenerazione in illegalità e violenze crescenti. Nello stesso tempo ci sono tanti giovani che nonostante tutte le difficoltà si sforzano di vivere il presente senza scorciatoie, che lavorano per una comunità finalmente capace di rompere le ingiustizie».

Magistratura Democratica, la corrente alla quale lei ha aderito fino a pochi mesi fa, ha sempre avuto come capisaldo quello di dare concretezza ai principi costituzionali nella pratica giudiziaria. Quali valori costituzionali ritiene, oggi, ancora validi ma non pienamente realizzati?
«La nostra Costituzione può essere letta in tanti modi. Uno dei più significativi è vedervi un catalogo di diritti, come salute, sicurezza, ambiente, presidiati da strumenti destinati a “inverarli”, cioè a tradurli da parola scritta in realtà concreta. Il principale presidio è una magistratura davvero indipendente. Molto è stato fatto in questa direzione, ma moltissimo resta ancora da fare. L’insufficiente realizzazione di questi diritti scolpiti nella Carta dipende da svariati fattori, principalmente l’inadeguatezza delle leggi e la carenza di mezzi e risorse lesinati alla magistratura, la cui indipendenza è sempre sotto attacco. Perché in Italia c’è qualcuno che non vuole più giustizia, ma meno giustizia, quando si tratta di proteggere certi interessi sottraendoli al controllo di legalità».

Che cosa significava fare il giudice negli anni ’70 e che cosa significa esserlo oggi? C’è un libro di un suo collega, Armando Spataro, il cui titolo è “Ne valeva la pena”: coniugherebbe quel verbo al presente?
«A partire dagli anni ’70 la magistratura “scopre” la Costituzione, per molti versi rimasta fino ad allora inattuata, e comincia un lungo cammino sulla strada dell’indipendenza effettiva, abbandonando la falsa neutralità che aveva caratterizzato la storia precedente. È la strada indicata dall’art. 101 della Costituzione, secondo cui «i giudici sono soggetti soltanto alla legge». Vale a dire, in sostanza, che il magistrato deve “disobbedire” a tutto ciò che non è legge, di qualunque cosa si tratti, questo o quel “palazzo”, potentato economico o culturale, gruppo politico di maggioranza o minoranza. Così operando sono stati conseguiti risultati decisamente importanti, anche se certamente non definitivi, sul versante del terrorismo, delle mafie, della corruzione, dell’ambiente, della salute e della sicurezza sui posti di lavoro».

Che cosa la spinse a entrare in magistratura?
«Mi spinse la prospettiva di fare qualcosa di significativo, di utile al Paese: avendo come stella polare, nel perimetro delle leggi vigenti, l’art. 3 capoverso della Costituzione, che fa obbligo a tutti, magistrati ovviamente compresi, di operare per far crescere soprattutto chi ne ha più bisogno in eguaglianza e diritti, interpretando il proprio ruolo senza impacci burocratici ma con una robusta responsabilità, sia delle regole sia dei risultati. Era uno splendido sogno, in parte poi realizzato nonostante gli ostacoli ovunque disseminati».

I nostri lettori sono soprattutto giovani: vuole rivolgere loro una esortazione o, magari, un incoraggiamento?
«Il futuro si prepara con le scelte di oggi. Rassegnazione, indifferenza, disimpegno, trasformismo e opportunismo sono scelte perdenti. Occorre capacità di critica, argomentata e intelligente. Occorre il coraggio di allontanare tutto ciò che è suggestivo, ma di fatto distrae e porta fuori strada. Auguri!».

 

Conoscevate la carriera di Gian Carlo Caselli? Che cosa pensate del suo appello ai giovani?

Tag: , ,

Categorie: Cultura

Lascia un commento