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20 Febbraio 2014

Il filosofo Corrado Ocone: “Le opinioni diverse contribuiscono all’avanzamento dell’umanità”

Intervista allo studioso che oggi interverrà al Circolo dei Lettori per presentare il suo nuovo libro “Liberalismo senza teoria”

Fabio Cassanelli e Tommaso Portaluri

Il filosofo Corrado Ocone

Corrado Ocone si è laureato a Napoli in Filosofia Teoretica nella seconda metà degli anni ’80 e ha continuato la sua formazione, sempre a Napoli, all’Istituto di Studi Storici. Attento studioso del pensiero crociano, si occupa di filosofia e teoria politica, con particolare riferimento al neoidealismo italiano e alla teoria del liberalismo. Collabora con frequenza al supplemento culturale del Corriere della sera e a Il Mattino di Napoli. Crede fortemente in un pensiero incarnato, fatto di passione e non di ragione astratta. Oggi pomeriggio, alle 18,  sarà al Circolo dei Lettori – con Riccardo De Caria, Valerio Zanone e Gianni Vattimo – per presentare il suo ultimo libro, “Liberalismo senza teoria”, edito da Rubbettino. In attesa di partecipare all’evento, abbiamo deciso di porgli qualche domanda.

Liberalismo senza teoria: che cosa significa, con parole essenziali, “senza teoria”?
«Quando parlo di un liberalismo senza teoria lo intendo non nel senso di un liberalismo che non pensa, ovviamente, ma intendo un liberalismo che non ha una teoria definitiva, non metafisico».

Lei parla di una identificazione tra liberalismo e filosofia, una dichiarazione audace. Che cosa intende?
«Io parto da un presupposto per il quale il liberalismo non è una dottrina come le altre o quanto meno non è una teoria politica; non solamente una teoria politica. Il liberalismo è, prima di tutto, una concezione del mondo e della vita. In particolare, ritiene che la vita abbia un significato completamente racchiuso dentro la sua sfera. Non perché non esista o non possa esistere un trascendente, anche di tipo religioso, ma perché qualora questo trascendente esistesse, sarebbe al di là delle nostre categorie logiche e mentali, quindi, in qualche modo, sarebbe per noi inconcepibile. Per questo, si può dire che quella del liberalismo è una concezione completamente mondana. Che filosofia e liberalismo siano fondamentalmente la stessa cosa significa che entrambe hanno un rapporto privilegiato con il “non essere”, nel senso che non sono presupposte. Che cosa sia filosoficamente giusto, che cosa sia vero e che cosa abbia a che fare con la libertà va individuato di volta, abolendo ogni presupposto che non sia quello delle nostre esperienza e personalità precedenti».

Quali sono le principali conseguenze di questa impostazione? E quale ruolo gioca il dialogo in essa?
«Questo significa anzitutto che il liberalismo accetta la diversità di gusti, di preferenze, le diversità in genere del mondo umano, per almeno due motivi: da un lato, perché non ha una verità assoluta, eterna e definitiva da promuovere, posto che non possiamo attingere al trascendente; secondariamente, perché ritiene che in qualche modo questa differenza di opinioni contribuisca all’avanzamento generale dell’umanità. Per il liberale, è molto importante il momento dell’errore, lo diceva anche Popper: egli procede per tentativi ed errori. Detto in maniera ancora più precisa, il liberale ritiene che il dialogo, la discussione, anche acerba, con chi la pensa in maniera diversa sia fondamentale, perché la verità che non si mette in discussione finisce per non essere più tale. La lotta, il conflitto che come diceva Luigi Einaudi che ha tanto insistito su questi concetti, tanto da parlare di “bellezza della lotta”, sono concetti coessenziali all’idea di libertà. È vero che non esiste una verità unica, definitiva e trascendente, ma per il liberale esiste la verità concreta e contingente: “Il liberalismo non può definirsi una volta per tutte, la sua essenza è quella di ridefinirsi costantemente”. Un grande filosofo del Novecento molto discusso, Collingwood [da noi dimenticato, anche se è uscita in questi giorni la sua opera più conosciuta per l’editore Castelvecchi – con una prefazione di Ocone, ndr] elaborò la logica della domanda e della risposta che fu ripresa anche da Gadamer quando nel capitolo centrale della sua opera principale parla di verità storica: non esiste una verità trascendente ma una verità da determinare di volta in volta».

C’è il rischio che il rispetto delle differenze finisca per legittimare qualunque punto di vista, senza differenziare?
«Vorrei fare un’importante precisazione: liberalismo non è relativismo. La verità del liberalismo esiste ed è la verità che si dà nelle diverse situazioni. Non si scade in una forma di indifferentismo morale, di nichilismo. Non è tutto indifferente, tutto equivalente. Io dico senza teoria perché il mio liberalismo è un liberalismo storicista, richiamandomi molto alla tradizione italiana, Croce su tutti, con altri liberali ortodossi. Un’altra cosa che mi distingue dal classico liberale è il concetto di individuo, che secondo me non può essere una monade cartesiana ma, come anche Vattimo, penso che l’Io nasca dalla “circostanza di vita” di ognuno. Il mio liberalismo quindi si basa su un concetto post-individualista».

Quali sono gli altri suoi riferimenti teorici?
«A partire dal ‘900, direi Isaiah Berlin, grande liberale della seconda metà del secolo scorso, ma anche Raymond Aron. Un altro autore sconosciuto in Italia ma molto conosciuto all’estero è Oakeshott, che tra l’altro ha scritto un libro nel 1933 che si chiamava “L’esperienza ed i suoi modi”, che richiama molto il pensiero crociano. Un altro autore a cui mi sento vicino è sicuramente Tocqueville. Senza tralasciare Montesquieu, ovviamente».

Come deve agire un vero liberale nei confronti dell’ascesa dei populismi in tutta Europa, che pensano di avere tutte le risposte in tasca e usano slogan per descrivere la realtà?
«Prima di tutto vorrei dire che il termine “populismo” è diventato tutto e il contrario di tutto. Noi lo abbiamo usato in un libro uscito lo scorso anno, “Il nuovo realismo è un populismo”, curato con Donatella Di Cesare e Simone Regazzoni. Qui, l’uso del termine nasceva dal fatto che il nuovo realismo accusava un po’ tutti di populismo; noi abbiamo dimostrato che lo stesso nuovo realismo, essendo fondato essenzialmente su regimi di comunicazione di marketing culturale, abbastanza indifferenti ai contenuti, è a sua volta una forma di populismo. Tornando all’attualità, il liberale deve sempre dialogare, tenendo presente che non esistono conversazioni non distorte. Bisogna sempre tenere aperto il dialogo ed è questo l’obiettivo della funzione liberale. Una funzione umana e non partitica, in questo caso».

In un periodo connotato dalla morte delle ideologie e dalla crisi di valori, il liberalismo cosa comunica ai giovani d’oggi e come essi possono scoprirlo partendo dalle basi?
«Credo che in fondo il liberalismo non esista, ma che esista invece la lotta e la continua tensione per la libertà. La cosa migliore che possa fare un giovane è andare ai classici, come ad esempio Montesquieu e Humboldt ma anche Tocqueville e cercare di servirsi della loro esperienza per affrontare i problemi di libertà, sempre nuovi, che gli pone di fronte questo tempo».

Nella presentazione di oggi sono presenti diversi relatori, dal giovane Riccardo De Caria che era candidato per FARE in Piemonte a Gianni Vattimo.
«Vattimo lo conosco da tanti anni ed ho scritto una recensione ad un suo libro dove ho citato il “Vattimo che abbiamo amato” – facendo il verso a Croce. Poi, siamo a Torino, e Vattimo è il filosofo per eccellenza a Torino. Abbiamo dunque un rappresentante del liberalismo politico, Valerio Zanone. E Riccardo De Caria, per il “liberalismo liberista”. Nei dibattiti, preferisco ci siano persone che la pensano diversamente da me».

Link utili:
Circolo dei Lettori

 

Vi interessa la filosofia? Andrete oggi al Circolo dei Lettori?

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Commenti (1)

  1. Q. ha detto:

    Se è possibile determinare tempo per tempo cosa è coessenziale e cosa no all’idea di libertá, è necessario fondarsi sull’ontologia parmenidea, che assolutizza ed eternizza l’Essere. A meno che il liberalismo si inquadri e circoscriva fuori dall’Essere nei termini di una dottrina, ritenuta valida momento per momento ma mai eterna né assoluta. La libertà senza il kat’échon di cui recentemente ha scritto Cacciari crea e tutela solo il deserto degli uomini, liberi di e liberi da, ma senza speranza.

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