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20 Febbraio 2014

Cécile Kyenge, una storia possibile

Al Circolo dei Lettori l’ex Ministra (sì, al femminile) per l’Integrazione ha presentato il suo libro “Ho sognato una strada”

Rita Rapisardi

L’ex Ministra per l’Integrazione Cécile Kyenge

Aveva scelto di farsi chiamare “Ministra”, perché dice che le donne al governo sono poche, per lei la priorità assoluta è lo ius soli e quando ricorda il tragico naufragio di Lampedusa dell’ottobre 2013 con oltre 300 morti, parla del fallimento dell’Italia intera. È Cécile Kyenge, ormai ex Ministro dell’Integrazione sotto il governo Letta, che il 18 febbraio ha presentato il suo ultimo libro, “Ho sognato una strada”, al Circolo dei Lettori, durante una chiacchierata insieme al giornalista della Stampa Domenico Quirico e all’ex sindaco di Torino Sergio Chiamparino.
Parte dall’inizio la Kyenge, dalle parole della madre che l’hanno accompagnata per tutta la sua vita. Arrivata in Italia nell’83 dalla Repubblica democratica del Congo, si è laureata in medicina e chirurgia all’Università Cattolica di Roma, catapultata all’improvviso in un mondo nuovo con la vertigine, come la definisce Quirico, di “essere nera in un mondo di bianchi”. Una differenza che non deve essere vista come ostacolo, ma come strumento per programmare al meglio il proprio futuro.

UN MILIONE DI STORIE
Anche se della sua eventuale riconferma a Roma non sapremo nulla almeno fino a sabato, la Kyenge sottolinea come in questi ultimi dieci mesi di lavoro in un Ministero creato da zero, siano stati sollevati temi e dibattiti nuovi, un messaggio anche a livello europeo di un approccio diverso da parte dell’Italia.
Non più discorsi usati come propaganda, come nel caso del governo Sarkozy – una politica spietata, la definisce Quirico – ma un’attenzione alle politiche migratorie e di ospitalità, alla cittadinanza e al razzismo, perché dare un nome, prendere coscienza delle cose aiuta a superare ostacoli e pregiudizi. Anche se il suo ministero è stato denominato dell’Integrazione, la Kyenge preferisce parlare di interazione, una parola meno fredda e burocratica, che sottolinea il fenomeno sociale tra persone e scambi di esperienze. Una coesione che deve esse rinnovata ogni giorno, cosi come le storie di un milione di bambini nati sul territorio italiano ma che non possono avere la cittadinanza se non alla maggiore età. Un errore perché, dice la Kyenge, «è un atteggiamento primitivo e repressivo che limita il contributo che tutti possono dare e riconoscere lo status giuridico delle persone è il primo passo per non cancellare l’investimento dello Stato su chi è nato e cresciuto sul proprio territorio».

PARTIRE DALLE PICCOLE REALTÀ
Nel concreto la Kyenge guarda soprattutto agli enti comunali e regionali, singole realtà come quella di Torino, che devono diventare esempi per l’intero territorio.
Dal canto suo Chiamparino, da sempre favorevole al voto amministrativo per gli immigrati, porta l’esempio di quando aveva provato ad aggirare la legge proponendo il voto nelle circoscrizioni, ricevendo poi lo stop dall’allora ministro Pisanu. Oggi, con una battuta su Silvio Berlusconi, alza nuovamente il problema: «È difficile capire perché una persona condannata in via definitiva possa entrare nelle trattative per le sorti del Paese e un immigrato che vive lavora e paga le tasse non possa scegliere il sindaco della città in cui vive».

CONDIVISIONE PRIMA DI TUTTO
Lo spirito di Cécile Kyenge è quello della condivisione, una parola che spesso compare nelle pagine del suo libro: accettare le regole custodendo la propria identità, combattendo un fenomeno di superficiale assimilazione, com’è avvenuto in Francia che ora si trova i figli della seconda e terza generazione che rifiutano la cittadinanza. Casi come quelli delle banlieu, scatole chiuse esplose con rabbia, non devono succedere in Italia, spiega la Kyenge, bisogna favorire la mescolanza. Le politiche per l’integrazione devono andare ovunque, partire soprattutto dalla scuola – dove a suo parere dovrebbe essere reintrodotta l’educazione civica – e coinvolgere l’ambiente lavorativo e la società, non limitandosi ai doveri degli immigrati, come il pagamento delle tasse, ma sostenerne i diritti.
E sul reato di clandestinità la Kyenge ricorda Lampedusa, “isola di bellezza e di morte”, come «il più grande simbolo del fallimento di un sistema basato su questa legge. Bisogna invece contrapporre politiche di solidarietà che partano dall’UE, che non perseguitino le vittime, ma i carnefici che gestiscono le tratte umane». Occorre inoltre guardare ai paesi da cui partono i fenomeni migratori, luoghi in cui la gente deve confrontarsi con conflitti, guerre, carestie e cambiamenti climatici, creare degli accordi per favorire la pace e un’immigrazione circolare, persone che una volta acquisiti i saperi in Europa tornino nel loro paese di origine.
Infine, alla domanda di Quirico se la sua è una storia esemplare o a parte, risponde che è una storia possibile, una strada possibile. Così come le strade e le vite di ognuno possono essere diverse, uguali devono essere i diritti che le accompagnano.

Link utili:
Circolo dei Lettori

 

Che cosa pensate di Cécile Kyenge? Siete d’accordo con quanto dice sulle politiche riguardanti l’immigrazione?

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Categorie: Intercultura

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