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7 Aprile 2014

Gli almanacchi e le parole di Dente al Teatro Colosseo

Intervista al cantante emiliano, questa sera sul palco di via Madama Cristina per presentare il suo ultimo album

Matteo Fontanone

Dente è in concerto stasera al Teatro Colosseo

Giuseppe Peveri, al secolo Dente, viene da Fidenza e viaggia per i quarant’anni. La sua musica parla d’amore, ma in un modo diverso rispetto agli altri colleghi. Forse è meno ordinario, forse più furbo. Se in tanti, soprattutto di questi tempi, l’amore lo sviliscono sempre di più infarcendolo di banalità e cliché, Dente riesce misteriosamente a nobilitarlo.
Dente è di quei cantautori che raccontano la propria vita e riescono a farla sembrare bellissima anche quando è ovvio che ci siano alcuni tasselli fuori posto, dalla solitudine alla delusione d’amore. Ogni pezzo è una soggettiva, un’introspezione, il frutto di una ricerca archeologica. Riesce ad essere scanzonato e malinconico nello stesso tempo, dando vita a una salsa agrodolce che suscita in chi lo ascolta sentimenti da caleidoscopio, instabili e mutevoli come il tempo a Londra.
Questa sera al Teatro Colosseo, Dente presenta l'”Almanacco del giorno prima“, il suo quinto lavoro in studio. Per l’occasione, chiacchiera con Digi.TO di sé, della sua musica e della sua scrittura.

Il nuovo album è piuttosto diverso rispetto ai lavori precedenti, e il tempo la fa da padrone: quello perso, quello futuro…
«Credo che sia una cosa naturale: il tempo che passa, nel bene e nel male ti cambia. Cambio io, cambi tu, cambiano gli argomenti su cui scrivo e forse anche un po’ il come lo faccio. Dopo averlo riascoltato, mi sono reso conto che musicalmente l’Almanacco è più ragionato degli altri dischi, anche se non posso dire lo stesso per quanto riguarda i testi. Questo perché rifletto molto poco sulla scrittura, per me è un processo d’istinto: scrivo come mi viene, spesso le parole arrivano da sole. Quando mi rileggo capisco cosa mi passava per la testa e provo a sistemare i versi, a dare un senso globale al pezzo. La tematica del tempo, soprattutto quello passato, era evidentemente una mia esigenza nascosta, fuoriuscita nel lavoro di scrittura senza che quasi me ne accorgessi».

Da quali stati d’animo nascono le dodici tracce dell’Almanacco?
«Ci sono delle canzoni dell’Almanacco che sembrano scritte in un periodo breve, a prima vista le diresti molto legate tra di loro. È buffo, ma in realtà se alcuni pezzi sono stati pensati e scritti per il disco, altri invece hanno già cinque o sei anni di vita ed erano lì ad aspettare l’album giusto. Non posso dire che ci sia uno stato d’animo comune, sono canzoni scritte in periodo diversi che però stavano bene insieme. Quando ho visto che le canzoni più vecchie si mescolano e si confondono alla perfezione con quelle recenti, ho riflettuto sulla mia vita. La mia vita è cambiata molto da allora ad oggi, almeno credevo. Il fatto che non ci si accorga di una canzone scritta anni fa, da un certo punto di vista mi fa anche piacere».

Spesso si chiede all’artista quale sia il motivo più vero e profondo che lo spinge a scrivere canzoni. Il tuo?
«La musica è il mio bisogno più intimo, la scrittura è la mia valvola di sfogo. Non riesco a scrivere una canzone tanto per farla, devo avere un qualcosa dentro da risolvere, come fosse un piccolo demone. Finire una canzone mi dà un senso di sollievo pazzesco, in ogni caso è come se mi togliessi un peso dallo stomaco. Di mio, nel quotidiano, scrivo abbastanza poco. Non sono il tipo da quaderni pieni di appunti o da canzoni iniziate e mai finite: per me scrivere una canzone non è un vezzo o un piacere, ma un’esigenza. È per questo che tra tutte le mie canzoni non ne riconosco una meno importante, per me sono state tutte, in un modo o nell’altro, delle urgenze».

La tua peculiarità è il gioco di parole, il significato nascosto, l’assonanza linguistica.
«Mi ha sempre affascinato il fatto di poter dire delle cose dicendone altre. Per scrivere in questo modo un po’ di fantasia la devi avere, da questa base però si studia e si migliora: per mantenermi attivo, leggo tanti manuali di enigmistica e mi alleno spesso. Non me ne vogliano gli enigmisti seri, io faccio solo ludolinguistica: uso le parole senza tecniche particolari, le piego ai miei guizzi e alle mie intuizioni. Gli enigmi che ho scritto nella Settimana Enigmatica sono semplici, un enigmista vero probabilmente mi darebbe fuoco. Però mi piace l’idea di poter dire tanto con poco, di indurre chi ascolta una mia canzone a pensarci sopra per un po’».

A Dente sarebbe più corretto chiedere cosa legge o cosa ascolta?
«Cosa ascolto. Non riesco a scrivere di cose altrui, a fare condizionare i miei testi dai libri che leggo. Raramente sono stato ispirato da una lettura o da un racconto. Scrivo solo di me stesso, le mie letture non finiscono nella mia musica. Ascolto tante cose italiane, in particolar modo cantautorato anni ’60 e ’70. È il mio primo amore ancestrale: sono quegli ascolti che fai da bambino e che poi ti rimangono tutta la vita. Ascolti sicuramente indotti dall’esterno, mi vengono in mente le cassettine di Gino Paoli in macchina coi miei genitori: quelle canzoni mi rendevano malinconico fin da piccolo. Mi struggevo per amore a soli sei anni, anche se non capivo bene la profondità di quelle tematiche e di quei sentimenti. Solo pochi giorni ero a Senigallia, ho riascoltato “Una rotonda sul mare”. A distanza di anni, mi sono ricordato che la frase “dimmi se chi ci separò è sempre lì accanto a te, se sei felice con lui o rimpiangi qualcosa di me…” mi torceva le budella».

Come mai un tour a teatro?
«Il teatro mi piace molto per vari motivi. Il rapporto col pubblico non si perde, perché provo a utilizzare il teatro in modo diverso da quello consono. In teatro il pubblico sente meglio me e io sento meglio loro. All’inizio è strano, loro sono un po’ più impauriti e per di più seduti, non possono muoversi. Poi ci si abitua tutti quanti, si capisce che è il formato stesso ad essere diverso. A teatro si possono fare cose che altrove sarebbero impensabili. Musica sì, ma anche scenografia: spettacolo, non solo concerto. È più completo, più totalizzante. Non è solo il gruppo che sale sul palco a fare canzoni, ma un qualcosa di più stimolante per noi e per chi viene a vederci».

Link utili:
Dente
Teatro Colosseo

 

Vi piace Dente? Questa sera andrete a vederlo a teatro?

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Categorie: Musica

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