Home » Cultura » Xel, case e pulcini per una street art di denuncia

13 Gennaio 2015

Xel, case e pulcini per una street art di denuncia

Intervista all’artista di strada torinese che, partito dal writing, con i suoi lavori è arrivato fino alla Biennale di Venezia

Andrea Di Salvo

“Mesopotamia”, opera su tela di Xel

In via Carlo Alberto a Torino, presso Palazzo Cisterna, un riquadro del muro esterno racchiude l’acrilico di un albero con due pulcini che aspettano da mangiare; in piazza Risorgimento un altro pulcino è sotto uno Snoopy, sdraiato sulla sua cuccia. Entrambi realizzati con uno spray, sono alcune delle opere dello street artist Alessandro Ussia, alias Xel, nato a Torino nel 1975, writer dalla fine degli anni ’80, arrivato a partecipare alla Biennale di Venezia.
Lo abbiamo intervistato sulla sua vita e sul suo lavoro.

Nasci come writer a Torino e diventi street artist: quando e come è avvenuto questo cambiamento?
«Il passaggio da writer a street artist è avvenuto per una serie di concause. In mezzo tante emozioni, fughe, scontri, pause, disillusione e poi una maturazione che ha spostato la mia ricerca. Se devo pensare a un periodo preciso in cui è avvenuto il primo scatto verso la street art penso al 2002-2003, quando ho cominciato a realizzare i primi sticker. Mi permettevano di esprimere dei concetti di più ampio raggio rispetto al writing, che invece si basa sostanzialmente sullo studio del colore e della forma delle lettere che compongono il proprio tag».

La tua formazione artistica si potrebbe definire, letteralmente, on the road?
«Disegno da sempre e ho una formazione grafica, avendo studiato Storia dell’Arte e frequentato mostre e musei, perché l’arte è sempre stata una passione grande per me. Senza dubbio però la formazione artistica vera e propria è avvenuta in strada, dove ho cominciato da adolescente a dipingere muri con gli spray alla fine degli anni ’80, conoscendo ragazzi con la mia stessa passione e attitudine e imparando moltissimo sul writing, e sulla vita in generale, nella periferia nord di una grande città come Torino. Disegnavo i bozzetti con gli amici al parco per trasferirli sui muri di notte: era una vera e propria filosofia di vita e questo grazie anche all’influenza che la cultura hip hop aveva negli anni ’90 e di cui il writing fa parte. Le emozioni che ho vissuto nelle notti in strada, e che vivo tuttora seppure in maniera diversa e con minor frequenza, sono un tesoro inestimabile».

Nelle tue opere compaiono con frequenza case e pulcini: cosa simboleggiano?
«Il linguaggio del mio lavoro recente si sviluppa su più fronti: quello della Street Art con interventi di sticker art e poster art, quello dell’Arte Pubblica con opere murali di grosse dimensioni e quello della pittura su tela in un ambito di gallerie e arte contemporanea. È riconoscibile, oltre che nel tratto, anche nell’utilizzo dei personaggi e delle icone che spesso ripeto e che hanno un significato ben preciso. I pulcini col becco aperto rivolto verso l’alto in attesa che arrivi qualcosa che non arriva, sono una metafora della condizione di perenne attesa nella quale perlopiù i giovani, ma non solo, sono costretti a vivere. Le casette sono nate invece come parte di contesti di urbanizzazione selvaggia che spesso rappresento nelle mie opere. Mano a mano la  mia produzione si è arricchita di altri simboli, come ciminiere di fabbriche spente e demistificazione di alcune carte da gioco, simbolo di battaglie tra poveri. È una poetica totalmente volta a criticare alcuni modelli contemporanei, resa leggera dal tratto, dalle forme e spesso dai colori vivaci, ma resta un lavoro di denuncia, un’istantanea sul momento storico che viviamo».

E gli sticker invece?
«La sticker art è una forma di street art che pratico da tempo e che mi permette di esprimere dei concetti, veicolandoli appunto attraverso adesivi. Sono lavori perlopiù di grafica e quasi sempre a sfondo sociale. Veloci da applicare in città, non sono invasivi, non imbrattano e sono volutamente effimeri essendo stampati su una carta adesiva comune. Sono una parte del mio lavoro che è molto più ampio, ma costituiscono una vera e propria passione per me».

Tra le tue opere ve ne è una che rappresenta meglio delle altre la tua arte?
«Scelgo un’opera pittorica su tela, inizialmente partita da una committenza, dal titolo Mesopotamia – civiltà perduta appartenente a una collezione privata e che è nuova nei temi e nei colori. Non è simbolo del mio lavoro, ma la considero molto importante perché mi ha costretto a effettuare una ricerca molto approfondita su popoli e tradizioni distanti dalle nostre. Ritengo fondamentale sprovincializzarsi e affacciare il più possibile lo sguardo sul mondo nella sua totalità, perché in fondo ne siamo parte. L’opera, dai colori pastello, è stata realizzata ad acrilici ed è di dimensioni 100 x 100 cm. Raffigura una città ideale mediorientale nella quale sono incastrate delle bombe e nella quale il piacevolissimo apparato visivo-formale è sporcato da piccoli schizzi e macchioline nere che rappresentano il petrolio, ragione di molti conflitti».

Hai qualche progetto in corso o in cantiere per il futuro?
«Ci sono molte cose in ballo, anche se di solito tendo a non sbilanciarmi su questo tipo di informazioni. Un po’ per un pizzico di scaramanzia, un po’ perché sono particolarmente riservato. L’auspicio è quello di riuscire a esprimere attraverso la mia arte le cose che ho da dire, soddisfare questa esigenza, appagare questa ansia creativa per me vitale».

Tag: , , , ,

Categorie: Cultura

Lascia un commento