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28 Gennaio 2015

Ciak, si fa scienza!

Scopriamo parte delle teorie su cui si basano film attualmente nelle sale o recenti come The Imitation Game, La Teoria del tutto e Interstellar

Andrea Di Salvo

Al centro, Benedict Cumberbatch è Alan Turing in “The Imitation Game”

Nelle ultime settimane sono uscite pellicole basate sui vissuti di due tra le menti più brillanti dell’umanità: con The Imitation Game e La Teoria del tutto ci vengono rispettivamente presentati gli scienziati Alan Turing e Stephen Hawking, mentre due mesi prima era stata la volta di Interstellar.
Ma qual è la scienza che sta dietro questi film? Scopriamolo, ma prestate molta attenzione per l’alto contenuto di spoiler.

THE IMITATION GAME
Nella Seconda Guerra Mondiale gli Alleati in Europa subiscono continui bombardamenti tedeschi. È cruciale riuscire a sapere dove si sposteranno le forze di Hitler e quali saranno i loro obbiettivi, ma non basta intercettare le comunicazioni radio del nemico perché esse sono crittografate. Significa che i messaggi sono trasmessi in codice e sono decifrabili in chiaro solo se si è in possesso della chiave di cifratura.
Tra le macchine usate dai tedeschi per criptare i loro messaggi nascondendoli agli Alleati c’era Enigma, presentata nel film. Questa si presenta come una specie di macchina da scrivere, formata da tre dischi – detti rotori – messi in cascata e contenenti sulla propria circonferenza un alfabeto ordinato (26 grafi per quello tedesco) e uno sfasato, usato per la criptazione. Attraverso un articolato meccanismo interno, la rotazione dei dischi generava teoricamente 10 milioni di miliardi di combinazioni differenti. Per maggiore sicurezza la macchina era dotata di un set di cinque rotori: per il suo funzionamento ne venivano usati tre in base a una disposizione dettata da un calendario e cambiavano quindi di volta in volta, anche nella loro disposizione all’interno della macchina. Sebbene impressionante, Enigma non raggiunse mai il pieno potenziale, nonostante bastasse a celare le comunicazioni delle truppe tedesche.
Alan Turing – un uomo conscio della propria intelligenza, fondamentalmente solo e sprezzante verso gli altri, successivamente arrestato perché omosessuale – ebbe il compito di analizzare quei messaggi e decriptarli. Costruì quindi una versione migliorata di una macchina, detta Bomba, già sviluppata in Polonia. Ciò permise di decriptare i messaggi cifrati di Enigma, fornendo importantissime informazioni agli Alleati.

LA TEORIA DEL TUTTO
Il film è l’adattamento cinematografico della biografia di Stephen Hawking scritta dell’ex-moglie dell’astrofisico, Jane Wilde. La storia sviluppa il tormento e le sofferenze che il fisico ha dovuto subire realmente: gli viene infatti diagnosticata una malattia degenerativa dei motoneuroni che lo costringe presto all’immobilità fisica. Il film rende concreti ulteriori fatti realmente accaduti, come la perdita della voce in seguito a una tracheotomia. Come conseguenza Hawking è vittima di depressione, ma nonostante la malattia porta avanti i suoi studi elaborando alcune teorie in grado di spiegare l’evoluzione dell’Universo e sposa Jane Wilde avendo con lei tre figli.
Nella realtà queste teorie nascono dalla collaborazione, durante gli anni Ottanta, con James Hartle e propongono un modello cosmologico in cui l’Universo non ha confini nello spaziotempo. Senza pretesa di esaustività, occorre immaginare che in questo modello il Big Bang venga sostituito con un modello matematico esprimibile per analogia con la regione di un polo terrestre, in questi termini: nessuno può viaggiare più a nord o più a sud dei rispettivi poli, poiché lì non esiste un contorno. L’Universo nascerebbe da una fluttuazione quantistica di particelle elementari, ovvero da un cambiamento temporaneo nello stato di energia di tali particelle.
Visivamente si può immaginare che esso abbia all’inizio una forma a cupola o a semisfera. Ciò si collega inevitabilmente con la forma dell’Universo e si accorda sia per una tipologia chiusa che una aperta. Nella prima l’espansione viene fermata dalla forza gravitazionale, che fa collassare l’Universo in un Big Crunch, l’equivalente opposto di un Big Bang. Nella seconda invece l’Universo si espande indefinitamente, terminando la propria esistenza in un Big Freeze (morte termica) o un Big Rip (dissolvimento). Insomma, in questo modello si finisce sempre con qualcosa di grosso.

INTERSTELLAR
In questo film ambientato in un futuro prossimo si guarda ancora in alto, alle stelle. La Terra non è più un habitat adatto agli esseri umani: le risorse naturali si sono consumate, vi sono violente tempeste di sabbia e le colture sono afflitte da una piaga che ha lasciato come unica fonte di nutrimento il mais. In questo scenario il protagonista Cooper, ex-astronauta, partecipa a una missione per salvare l’umanità: attraverso un wormhole insieme a una squadra raggiungerà un gruppo di pianeti, di cui uno solo abitabile, situati vicini a un buco nero. Sarà la nuova casa dell’umanità.
Ovviamente non è così semplice, dal punto di vista scientifico. Il wormhole (detto anche ponte di Einstein-Rosen) infatti è un’ipotetica struttura dello spaziotempo che collegherebbe due punti distinti dell’Universo in modo da percorrere la distanza tra di essi in un tempo minore a quello che ci impiegherebbe la luce nello spazio ordinario. In altre parole è una scorciatoia.
Nel film se ne trova uno vicino a Saturno, posto lì da qualche entità inizialmente sconosciuta: i nostri ci entrano dentro ed escono da un’altra parte, nei pressi di un buco nero. Strutture come questa invece esistono realmente e sono delle singolarità nel nostro Universo: sono caratterizzate da un campo gravitazionale così intenso da impedire a qualunque oggetto di uscire all’infuori di un certo raggio, detto orizzonte degli eventi. Nemmeno la luce può sfuggire a un buco nero che quindi non può essere osservato direttamente. La massa di un buco nero supermassiccio può arrivare fino a circa un miliardo di volte la massa del Sole (che è di 1.9 x 1030 kg!). Le dimensioni possono arrivare invece fino a circa 400 AU, che è un acronimo per indicare l’Unità Astronomica, equivalente a circa 150 milioni di km, ovvero la distanza media tra la Terra e il Sole.
Gli effetti di un passaggio ravvicinato nei dintorni di uno di questi oggetti sono ben rappresentati nel film: mentre per alcuni membri dell’equipaggio sono passate poche ore, per un altro del gruppo, restato a bordo dell’astronave e lontano dal buco nero, sono passati anni. Naturalmente questo effetto dipende dalla massa del buco nero che distorce la struttura spaziotemporale e dalla distanza a cui ci si trova da esso.
Non veritiera invece è la fine di Cooper, che a un certo punto della trama si lascia attrarre dal campo gravitazionale del buco nero. Il regista Christopher Nolan se lo immagina all’interno di una struttura molto particolare che ci riporta all’inizio della narrazione, mentre nella realtà l’astronauta finirebbe stritolato dalle gigantesche forze gravitazionali.
Questo sarebbe stato un finale fisicamente rigoroso, anche se non molto hollywoodiano.

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Categorie: Cultura

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