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30 Gennaio 2015

Quattro chiacchiere con “l’ammazzafilm” Stefano Disegni

Il disegnatore satirico, autore di una raccolta con le sue migliori recensioni per il mensile Ciak, ci racconta il suo lavoro e cosa pensa dei fatti di Charlie Hebdo

Veronica Minniti

Il disegnatore satirico Stefano Disegni

56 film della storia del cinema recente adeguatamente “vignettizzati”  dal più celebre cinesatirico italiano: ecco che cos’è L’ammazzafilm. A poche settimane dall’uscita del libro, Digi.TO ha fatto quattro chiacchiere senza peli sulla lingua (come da suo stile) con l’autore, Stefano Disegni.
Classe 1953, predestinato all’arte come suggerisce il suo cognome (anche se quello vero è Di Segni), collabora da diversi anni con Ciak , il Corriere della Sera (sul  quale ogni settimana tiene la rubrica Telescherno) e il Fatto Quotidiano (per cui ha diretto l’inserto satirico domenicale Il misfatto). Nel 1999 è arrivato molto vicino a fare causa ai fratelli Wachowski, registi e autori della sceneggiatura di Matrix: anni prima dell’uscita del film, Disegni e l’umorista Massimo Caviglia avevano pubblicato Razzi Amari: «La storia di un mondo orrendo che le macchine facevano sembrare bello. Un tipo se ne accorge e le combatte insieme ai resistenti – ci dice Disegni – poi nel 1998, esce Matrix, uguale pure nelle scene». Per quanto gli estremi ci fossero, in quanto i fratelli Wachowski collezionavano fumetti da tutto il mondo, alla fine non se ne fece nulla, per via degli alti costi della pratica.

Ecco che cosa Disegni ci ha raccontato a proposito di cinema, vignette, satira… e anche di Charlie Hebdo.

Partiamo dalle origini: come si diventa disegnatore satirico? Qual è stato il suo percorso?
«La mia è una storia tradizionale: disegnavo fin da quando avevo 7 anni. Facevo i disegni sui temi a scuola, poi ho cominciato a fare le caricature del professori. E poi, lavorando, sono riuscito di fare di questa passione un mestiere».

Qual è la parte più divertente e quale, invece, la più complicata dell’essere un disegnatore satirico?
«La parte più divertente riguarda sicuramente gli orari. Non devo andare in ufficio, quindi posso alzarmi quando voglio la mattina. E poi il lavoro che faccio di per sé è divertente: inventare storie è una cosa bellissima. La parte più faticosa e complicata, invece, è quella di sedermi al tavolo e disegnare  dovendo rispettare le scadenze».

Come ha scelto le vignette da includere nella raccolta “L’ammazzafilm”?
«L’ammazzafilm contiene 56 vignette a tema cinema, pubblicati su Ciak dal 2004 a oggi. Ho selezionato insieme all’editore le più divertenti, quelle che ci sembravano le più riuscite. A quanto pare la nostra scelta è stata ben accolta dal pubblico: il libro è già esaurito e attualmente in ristampa».

Come funziona nel concreto il lavoro di critico cinematografico? Lei seleziona a priori film che possano diventare “vignettizzabili” o va al cinema senza programmare nulla?
«Seleziono a priori. Negli anni ho sviluppato un certo fiuto per le ciofeche. Riesco a presentire un titolo che possa andar bene per me».

Quali sono i registi e gli attori che in questi anni le hanno dato più “soddisfazioni”?
«Ci sono degli autori con cui vado sul sicuro: i Vanzina, tanto per fare dei nomi. O anche quei film girati completamente attorno agli attori senza alcuna trama: quelli con Nicolas Cage, ad esempio. Se gli proponessero di girare una prima comunione, per soldi lo farebbe. Anche Woody Allen: ormai gira i film in base al posto in cui sceglie di andare in vacanza: Roma, Londra, Parigi, Barcellona, adesso la Costa Azzurra. To Rome with love è un film imbarazzante, soprattutto per un romano doc come me. Tra gli italiani, o come preferisco chiamarli io “italioti”, le più grandi “soddisfazioni” mi sono arrivate dai vari Benvenuti al Nord, Benvenuti al Sud, a est, a ovest. Tutti film che, sostanzialmente, non fanno altro che mettere sullo schermo gli stereotipi sul milanese, sul meridionale, sul romano, eccetera».

Quali sono le sue vignette cinesatiriche preferite, tra quelle che ha scritto?
«Bella domanda: come si dice, ogni scarrafone è bello a mamma soia. Però direi che la mia preferita è quella sul film di Benigni La tigre e la Neve. Il film era veramente inguardabile. Penso che la vignetta sia venuta particolarmente bene, ci ho messo molto impegno».

Era quella in cui Nicoletta Braschi era disegnata col viso di un cane?
«Quella! Tra l’altro penso che sia il film in cui ha recitato meglio: per tre quarti del film è in coma, immobile e in silenzio».

A poche settimane dall’attentato di Parigi alla sede di Charlie Hebdo continua a mantenersi vivo il dibattito sulla satira e su fino a che punto essa possa spingersi. Recentemente Papa Francesco ha detto che «è sbagliato uccidere in nome di Dio, ma le religioni non vanno insultate». Qual è il suo commento su questi fatti?
«È chiaro che non si può tappare la bocca alla gente con il fucile. In questo senso mi unisco anche io nel dire “Je suis Charlie”. Però io non penso che i disegnatori o i vignettisti debbano essere dei tontoloni con la matita in mano che non si rendono conto delle conseguenze, a volte catastrofiche, di quello che può scatenare il loro prodotto. Se fare una cosa, come scrivere una vignetta, significa gettare benzina sul fuoco, allora io non credo che sia rinunciare alla libertà il pensarci dieci minuti di più. Penso anzi che sia dare prova  di realismo. Detto questo, ovviamente, non si spara a nessuno ed è giusto scendere in piazza contro quanto accaduto alla sede del giornale».

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Categorie: Cultura

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