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12 Febbraio 2015

Quando il robot è una pianta

Scopriamo il Plantoide, una macchina che imita le radici delle piante e le loro capacità, per usi di monitoraggio ambientale ed esplorazione del suolo

Andrea Di Salvo

Il Plantoide è un robot che imita le piante, servirà nel monitoraggio ambientale

Alcune settimane fa nella rubrica universitaria del lunedì abbiamo segnalato un incontro in cui veniva presentato il Plantoide, il primo robot ispirato alle piante, che potremo vedere realizzato entro il mese di maggio.
Sviluppato da un consorzio europeo di cui fa parte l’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT), ha la peculiarità di imitare i movimenti delle radici e la loro abilità sensoriale. Le applicazioni di questo dispositivo sono molto interessanti e abbiamo chiesto a Barbara Mazzolai, 47 anni, coordinatore scientifico dell’intero consorzio, di approfondire per noi le caratteristiche del robot.

Che cos’è il Plantoide e da quale intuizione o necessità nasce?
«Il Plantoide è un robot ispirato al comportamento delle radici delle piante, in grado di muoversi nel suolo per monitorare la sua composizione chimica e alcuni parametri fisici, quali umidità, temperatura e resistenza meccanica. L’obiettivo della ricerca, svolta nell’ambito di un progetto finanziato dalla Commissione Europea, Plantoid, è duplice: da un lato si propone di condurre studi avanzati sulla capacità di crescita e penetrazione delle radici, sulle loro capacità sensoriali e di comunicazione tra di esse; dall’altro di fornire modelli e prototipi robotici che li imitino. Il Plantoide nasce dalla necessità di creare nuovi sistemi autonomi e semplici da utilizzare con l’obiettivo di riconoscere gli inquinanti nel suolo e le alterazioni chimico-fisiche e intervenire per ripristinare lo stato di salute dell’ambiente».

In che modo il Plantoide “sente” l’ambiente circostante?
«Il Plantoide è formato da un tronco da cui si allungano delle radici robotiche munite di apice mobile, dotato di sensori per la gravità, il tatto, l’umidità e alcuni parametri chimici, quali pH, potassio, fosforo e azoto, tramite i quali il robot “sente” l’ambiente circostante e, come conseguenza, orienta le proprie radici verso uno stimolo o lontano da esso. Il gruppo IIT ha sviluppato nuovi sensori da integrare nell’apice robotico. Un esempio è un sensore sottile e flessibile che può percepire forze provenienti da differenti direzioni, con un ampio range di funzionamento e altissima sensibilità. I tempi di risposta, dell’ordine dei millesimi di secondo, sono molto simili ai tempi di elaborazione delle sensazioni tattili in natura, come avviene per esempio nella pelle dell’uomo e nelle radici delle piante che esplorano il suolo».

Che vantaggi offre la sua morfologia e in quali ambiti la sua applicazione risulta più promettente?
«Il Plantoide è munito di radici robotiche che si muovono imitando la strategia delle radici naturali, ovvero aggiungendo nuovo materiale al fine di ridurre l’attrito e la pressione necessaria per penetrare nel suolo. Le radici robotiche sono inoltre in grado di effettuare delle curve sulla base degli stimoli che ricevono nel suolo. La diretta applicazione di questa tecnologia è il monitoraggio ambientale. L’idea è di sviluppare la prima generazione di robot-piante, che nel futuro sarà rappresentata da gruppi di Plantoidi comunicanti tra loro e in grado di penetrare in terreni di diverso tipo. Ispirati al mondo vegetale sia nella meccanica sia nell’aspetto, i Plantoidi potranno monitorare lo stato delle coltivazioni agricole, di boschi e aree naturali protette, mimetizzandosi con l’ambiente stesso, e segnalando elementi di sofferenza del terreno e della vegetazione fin dai primi segnali, siano essi un inquinante o una variazione di umidità o di un nutriente. Tra le applicazioni promettenti del progetto potrebbero esserci anche robot endoscopici flessibili per delicate operazioni chirurgiche nel settore medico; piante robotiche potrebbero inoltre essere impiegate in operazioni di ricerca e soccorso, per esempio in seguito a un disastro naturale».

Nello specifico qual è il suo lavoro su questo progetto? Di quali professionalità ha bisogno il suo sviluppo?
«Sono il coordinatore scientifico dell’intero consorzio europeo formato da quattro partner: l’Istituto Italiano di Tecnologia, che, oltre al ruolo di coordinatore, è responsabile dello sviluppo di tutto l’hardware e dei sensori fisici e dello studio dei tropismi nelle radici; l’Institute for Bioengineering of Catalonia, che ha sviluppato i sensori chimici per il monitoraggio del pH, potassio, azoto e fosforo; l’Università di Firenze, responsabile dello studio della comunicazione tra apici radicali; e l’Ecole Polytechnique Fédérale de Lausanne, che ha sviluppato il controllo del robot partendo dal comportamento delle radici. Il gruppo di lavoro è formato da giovani ricercatori e dottorandi con professionalità e competenze molto diverse tra loro. Vi sono ingegneri meccanici ed elettronici, bioingegneri, scienziati dei materiali, biologi, chimici, e robotici. Si tratta quindi di un ambiente stimolante e multidisciplinare, particolarmente adatto a formare personale in grado di affrontare sfide scientifiche e tecnologiche e che rappresenta gli scienziati di oggi e gli imprenditori di domani».

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Categorie: Ambiente, Tecnologie

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