Home » Cultura » BD – La spada e il Corano: nascita, sviluppo e complessità dell’Isis

30 Marzo 2015

BD – La spada e il Corano: nascita, sviluppo e complessità dell’Isis

Per Biennale Democrazia un gruppo di redattori di Limes discute di Stato Islamico e Medio Oriente

Matteo Fontanone

Nella giornata conclusiva di Biennale Democrazia, c’è spazio anche per parlare di Stato Islamico. Nell’aula magna della Cavallerizza Reale, per la conferenza La spada e il Corano, ci sono quattro studiosi e redattori della rivista Limes: ognuno dotato di un proprio retroterra culturale, si confrontano sul Medio Oriente analizzandone problemi e contraddizioni individuati durante studi, viaggi, approfondimenti.
A introdurre e fare da trait d’union tra gli interventi Lorenzo Declich, studioso dell’Islam. Tra i relatori Massimiliano Trentin, ricercatore dell’Università di Bologna, Lorenzo Trombetta, corrispondente Ansa da Beirut, e Anna Cossiga, storica delle religioni.

L’ISIS TRA PASSATO E PRESENTE
Declich ricorda che per parlare di terrorismo è necessario operare una distinzione tra Al-Qaida e Isis. Mentre sulla prima ormai c’è poco da aggiungere, lo Stato Islamico porta con sé una serie di novità.
Innanzitutto è un fenomeno nuovo, innescato dalla generazione di jihadisti nata all’indomani dalla morte di Bin Laden. Prende piede in Siria, dove la penetrazione dell’Isis avviene sulle macerie della guerra civile voluta da Assad, e in Iraq, dove erano già presenti organizzazioni jihadiste e qaediste. «Si sottovaluta – dice Declich – che in Iraq si stava formando una nuova struttura burocratica, che non agiva in territori lontani e abbandonati ma nelle città, tra il popolo. Si stava organizzando un futuro in cui tutte queste piccole organizzazioni inizialmente slegate sarebbero confluite in uno spazio geografico ben definito».
Dopo aver collocato nello spazio e nel tempo la nascita dell’Isis, il discorso vira sul presente. Sappiamo che da poco la città di Idlib è stata conquistata da gruppi jihadisti, alcuni nettamente qaedisti come Jabhat al-Nusra. Tikrit invece è tuttora contesa tra l’esercito iracheno, aiutato da forze di confessione sciita, e lo Stato Islamico, con gli Stati Uniti che bombardano dall’alto ma hanno chiesto agli sciiti di farsi da parte. L’ultimo dei tre scenari è lo Yemen, strategica porta d’accesso al Mar Rosso, dove l’Isis sta cercando di infiltrarsi. Agli attentati nelle moschee di Sanaa, le milizie sciite hanno risposto addentrandosi nel sud per spazzare via i terroristi; nel frattempo, si è formata una coalizione di stati arabi per controllare i propri interessi.

ANALISI DI UN FONDAMENTALISMO
Anna Cossiga affronta il problema dello Stato Islamico da un punto di vista di antropologia culturale e storia delle religioni: «Sembra che lo Stato Islamico sia il fondamentalismo islamico per eccellenza: c’è un nemico interno, gli sciiti, e un nemico esterno, la modernità e quindi l’Occidente. Per modernità – continua – non intendiamo certo la tecnologia, che l’Isis usa invece molto bene: si tratta piuttosto della divisione della politica dalla religione e dell’interpretazione delle scritture, che secondo lo Stato Islamico vanno prese alla lettera».
Secondo la studiosa, l’Isis cerca nel passato l’unica soluzione al futuro, tanto che la sua idea è quella di ricreare l’età dell’oro, i tempi mitici del Califfato. Cossiga definisce lo Stato Islamico una rete dalle maglie larghe: il polo principale è quello siriano-iracheno, per la cui creazione sono stati distrutti i confini segnati dall’Occidente; poi ci sono i distaccamenti in Libia, cellule in Tunisia, Boko Haram nel nord della Nigeria. Il pericolo è che la maglia si continui ad allargare: «Se mai l’Isis dovesse stabilizzarsi e crescere ancora, forse dovremo accettare l’idea di parlare con loro in altre misure che non siano la guerra e avviare dei rapporti di diplomazia».

DARE ALL’ISIS DEI LIMITI SPAZIO-TEMPORALI
Massimiliano Trentin, riprendendo le riflessioni iniziali di Declich, dà una contestualizzazione storica allo Stato Islamico. Secondo l’approccio storico, ogni evento va posizionato all’interno delle coordinate base di spazio e tempo. Questo processo permette di individuare nell’Isis limiti e contraddizioni utili a contrastare la sua narrativa, «che vuole questo movimento come parte di un processo eterno senza limiti di spazio e tempo, mentre questi limiti esistono eccome».
Siria e Iraq si contraddistinguono per tre elementi fondamentali: il collasso delle istituzioni pubbliche nazionali, una visione confessionale della politica e l’esclusione del popolo dai processi di ridistribuzione della ricchezza.
Era facile immaginare che quegli spazi di esclusione venissero occupati: una sola milizia, una sola tassa e un solo soggetto a cui riferirsi. Per Trentin, «l’Isis ha saputo introdursi con intelligenza in quei luoghi e in quei momenti che davano maggiori garanzie di successo a una forza i cui obiettivi erano la jihad globale e la costituzione di uno stato».
Anche gli altri elementi di successo dello Stato Islamico, se inseriti in un contesto spazio-temporale, mettono a nudo i propri limiti. In primis quelli geografici e militari: ogni volta in cui l’Isis ha affrontato eserciti preparati, ha perso. In secondo luogo, c’è l’insofferenza popolare alle pratiche di governo dei territori che hanno occupato: se garantiscono stabilità, non è detto che le popolazioni siano d’accordo con le modalità di gestione.

LA SIRIA VISTA DA VICINO
Lorenzo Trombetta vive a Beirut, è corrispondente Ansa e segue dall’interno molti nodi del Medio Oriente, basti pensare che solo due giorni prima di arrivare a Torino si trovava al confine tra Siria e Giordania. Parla di Isis in termini di complessità, spesso difficile da affrontare per il giornalismo e gli studiosi universitari, che mettono le mani avanti e si lasciano affascinare dalle semplificazioni.
Il suo è un intervento torrenziale e appassionato, porta numeri, nomi ed esempi per raccontare al pubblico di Biennale che cosa sia davvero la complessità su cui tanto insiste: «Jabhat al-Nusra, ala qaedista nata con la guerra civile in Siria, formalmente rivali dell’Isis, nel fronte sud-siriano costituisce il 25% delle forze totali. Per quale motivo una così netta preponderanza? Stipendi: un miliziano affiliato ad al-Nusra guadagna 400 dollari al mese, mentre un miliziano “moderato” addestrato da Stati Uniti, Giordania e Arabia Saudita guadagna se guadagna soltanto 60. Va ancora meglio ai miliziani siriani dell’Isis, la cui paga mensile è di ben 600 dollari». Secondo Trombetta, la matrice confessionale spesso è poco più che un pretesto, un motivo di propaganda che tutt’al più può attrarre jihadisti dall’Europa.
Allo stesso modo, anche per il popolo è una questione poco marcata, soffusa, spesso inesistente: «Ieri sera parlavo con un abitante dei sobborghi orientali di Damasco, un pacifista convinto. Mi diceva che tra i miliziani locali e l’Isis preferisce l’Isis, che dà pace, stabilità e sicurezza». L’imposizione di un’autorità militare stabile, la fornitura di servizi e la capacità di negoziazione con il regime di Assad sono elementi in grado di convincere la popolazione. Il confessionalismo, quando si tratta di soldi e sicurezza, si diluisce: «In Siria, lo scontro è sempre su più livelli: religioso, politico, socio-economico. Ed era così da prima che arrivasse l’Isis, da prima che scoppiasse la guerra civile».
Mosul attualmente è una delle principali roccaforti dell’Isis, ma nessuno sa che pochi anni fa è stata una delle piazze Tahrir del mondo arabo: «Se a Mosul l’Isis ha bruciato dei libri, qualcuno ha lasciato che la sua società civile, i professori e gli studenti non venissero ascoltati e rimanessero sotto silenzio». Trombetta chiude ricordando chi già nel 2012 sosteneva che con l’Isis si dovesse dialogare, padre Paolo Dall’Oglio, scomparso in Siria nel luglio 2013 : «L’esclusione dell’Is da ogni forma di processo politico è controproducente, lo ha capito prima di tutti padre Paolo».

Tag: , , , ,

Categorie: Cultura

Lascia un commento