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19 Maggio 2015

Un Saviano critico e disilluso al Salone del Libro

Nell’incontro di sabato con il giornalista d’inchiesta tedesco Wallraff, lo sfogo: “Credevo nelle riforme, non è cambiato nulla”

Matteo Fontanone

Roberto Saviano

Sarà stato merito dell’atmosfera più intima della Sala Gialla rispetto ai grossi spazi dove siamo abituati ad ascoltarlo, sarà stato per Günter Wallraff (giornalista d’inchiesta tedesco) lì al suo fianco, sarà stati anche per l’evidente stanchezza – le giornate al Salone del Libro non sono affatto riposanti – ma un Roberto Saviano così critico e d’opposizione, sabato al Lingotto, erano in pochi a ricordarselo.

IN DIALOGO CON WALLRAFF
Partiamo dall’inizio: la coda chilometrica fuori dalla sala a un’ora dall’inizio dell’evento è l’ennesima grande prova d’adorazione, il tributo che i visitatori del Salone pagano al giornalista napoletano. Ci eravamo lasciati nel 2013, quando il nostro fu protagonista assoluto di un incontro con i mostri sacri dell’Espresso, tra le ovazioni di un auditorium stipato come non mai. Ci ritroviamo due anni dopo per un incontro con Wallraff, padre del giornalismo d’inchiesta tedesco, pioniere del metodo camouflage, che consiste nell’entrare sotto copertura nell’ambiente su cui sta indagando. In questo modo, a seconda dei casi, può capitare di vivere qualche mese come narcotrafficante, riciclatore di denaro sporco, redattore di un giornale mainstream tedesco che proprio le sue rivelazioni hanno contribuito a far fallire.
Il dialogo tra i due appassiona, a tratti fa addirittura sorridere. Wallraff, forse preso dall’intenzione di rendere la Germania più amichevole agli occhi di noi italiani, racconta qualche caso assurdo di cattiva gestione della cosa pubblica («non è che in Germania vada tutto bene, ma le cose sono nascoste meglio»), ripercorre le innumerevoli denunce subite e, con un moto d’orgoglio, fa il conto di tutti i grandi nomi su cui ha avuto ragione in tribunale.

SAVIANO A TUTTO CAMPO
Ciò che fa specie è l’accostamento tra Wallraff, che a 70 anni suonati è ancora iperattivo e più camaleontico che mai, e Roberto Saviano, la cui condizione è nota a tutti. È così che, quando il moderatore Alberto Nerazzini, ex giornalista di Report, tira fuori dal cilindro la domanda che tutti aspettavano, «lo rifaresti?», l’effetto è quello di un fiume che esce dagli argini. La risposta, secca e brutale, è molto lucida: «Spesso mi pento di quello che è successo, a volte realizzo che non è nemmeno del tutto colpa mia. Gomorra è diventato un caso mondiale non per me, ma per l’attenzione dei lettori. In ogni caso, a un ragazzo che dice “mi gioco tutto per i miei ideali”, consiglierei di essere prudente. Cerca di conoscere la paura più che puoi, sii coraggioso quando ce ne sarà bisogno: più avrai paura e più sarai coraggioso, perché conosci esattamente cosa rischi».
Tra numeri, nomi e dati contro le mafie, Saviano ha modo di esprimere le sue perplessità sull’Italia di oggi, dove «se critichi vieni automaticamente etichettato come un gufo». Mentre quando al governo c’erano «i cattivi» l’antimafia era sulla bocca di tutti, ora che il potere è in mano ai “buoni”, «parlare di mafia sembra impossibile, è un’onta, una vergogna». Di base, Saviano, era entusiasta: «Io, in questo percorso di riforme, credevo molto. Avete notato qualche cambiamento, specialmente per il sud? Io no». La delusione più grande, il semestre europeo dell’Italia: «Pensavo che avremmo stabilito le regole da portare avanti, invece non sono mai state neanche pronunciate le parole antiriciclaggio e mafia, anzi, sembrava quasi ci fosse una vergogna nel citare questi temi, come se si volesse associare l’immagine dell’Italia alla criminalità».
Infine, con il tono di chi ormai non si aspetta più niente, ricorda di come Iovine, Bidognetti e D’Aniello, i boss casalesi da cui sono partite le minacce di morte, siano stati dichiarati non colpevoli: «I giudici hanno creduto alle loro dichiarazioni, secondo cui la mente dietro agli attacchi contro di me sarebbe il loro avvocato». Si ridacchia con l’incredulità amara di chi è conscio che cose come queste accadano solo in Italia.
Quello visto al Salone del Libro sembra un Roberto Saviano diverso, meno disposto a rendersi simulacro di speranza e legalità, meno entusiasta di essere applaudito e osannato solo “in quanto Saviano”. Un’ultima battuta, per i migranti: «In mare vige la legge del mare, non si lascia annegare nessuno».

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Categorie: Cultura

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