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1 Luglio 2016

Elva ed Erika, il calcio come passione di famiglia

Madre e figlia, difensore e attaccante della squadra femminile dell’Equador a Balon Mundial, ci raccontano la storia di un amore che si trasmette di generazione in generazione

Claretta Caroppo

ElvaErika

Elva Carrasco e Erika Mesa, madre e figlia, giocatrici dell’Ecuador a Balon Mundial

Quella di Balon Mundial è un’avventura sportiva e umana che coinvolge giocatori e giocatrici da tutte le parti del mondo in un torneo calcistico non solo internazionale, ma anche transgenerazionale. É il caso di Elva Carrasco e Erika Mesa, madre e figlia, difensore l’una e attaccante l’altra, che giocano fianco a fianco per la squadra femminile dell’Equador.

UNA PASSIONE VERA
Elva e Erika sono arrivate in Italia nel 2002; le incontro in un bar in piazza Castello all’ora di pranzo nel loro giorno libero dal lavoro e decidiamo di metterci sotto i portici per paura che un temporale ci sorprenda.
Sono molto affiatate, allegre, mi parlano dello sport con passione: «In Equador è una cosa diffusissima giocare a calcio, nelle strade del quartiere, a scuola, tra amici, ed è molto comune anche tra le ragazze» ci racconta sorridendo Elva, 45 anni. «Fin da giovane, invece di giocare con le bambole – continua – cercavo la palla, mi divertito molto di più così, mia figlia è sempre stata come me e credo che anche la mia nipotina avrà un futuro nello sport».
Erika, un’esile ragazza di 22 anni che a quanto pare è davvero una piccola campioncina, annuisce alle parole della mamma e racconta che, per lei, «giocare in famiglia è un valore aggiunto, ci si sente protetti, spronati, doppiamente parte di qualcosa». Nella stessa squadra, in questa nuova edizione di Balon Mundial giocano, infatti, anche la sorella e la zia di Erika, e l’allenatore, Massimo Tomiato, è il cognato di Elva.
Mentre scambiamo due chiacchiere bevendo il caffè chiedo a Elva se ricordi quando abbia iniziato a giocare: «A scuola, in Equador. I maestri dividevano gli alunni in due quadre, alcuni erano destinati al basket, altri a giocare a calcio. Io fui scelta per il basket perché ero una ragazza alta per la mia età e devo dire che me la cavavo bene. Per avere maggiori opportunità mi sarei dovuta spostare in un’altra città, ma ci sarebbero voluti troppi soldi. Così ho ricominciato dal quartiere, con il calcio, e ho scoperto uno sport sano, che avevo amato sin dall’infanzia, potrei dire che è sempre stato il mio unico vizio».

SEMPRE SUL PODIO
Madre e figlia ricordano scherzosamente le due finali, giocate contro l’Italia, nelle ultime due edizioni di Balon Mundial al femminile, in cui l’Equador è stato battuto per un soffio e si augurano per quest’anno una finale con le stesse squadre, auspicando la vittoria, soprattutto ora che Erika è tornata in campo dopo due anni di assenza, «magari con un arbitro non italiano», dicono in coro facendomi l’occhiolino.
Erika e Elva mi mostrano sul telefonino le loro fotografie con la divisa della squadra. Erika, che nel 2013 è stata premiata come migliore giocatrice del torneo, mi racconta che a volte si è sentita discriminata: «Non è sempre facile far comprendere alle persone che anche una ragazza può amare il calcio, come me e mia madre. Quando ho avuto la mia bambina mi sono fermata per due anni e mi è dispiaciuto molto aver smesso di giocare. Ma ora che ho ricominciato, non vedo l’ora di vincere». Le faccio notare che nelle foto con la squadra ha sempre il rossetto sulle labbra: «Hai ragione – mi dice – è che arrivo alle partite o agli allenamenti già truccata perché sono in giro magari da tutto il giorno. Sono pur sempre una ragazza, no?».

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Categorie: Intercultura, Sport

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