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17 Novembre 2016

Freedhome: il bello e il buono del carcere

Un nuovo negozio nel cuore di Torino vende prodotti realizzati da detenuti di tutta Italia, per far conoscere il loro lavoro e promuoverne le eccellenze artigianali

Stella Giorgio

Il negozio Freedhome vende prodotti realizzati dai detenuti

Il negozio Freedhome vende prodotti realizzati dai detenuti

Dai vestiti al design passando ovviamente per il cibo: è vastissimo l’assortimento che potete trovare a Freedhome, il negozio di recente apertura in via Milano 2 C dove si vendono oggetti e alimenti prodotti da detenuti in tutta Italia.
Abbiamo rivolto in proposito alcune domande a Gian Luca Boggia, amministratore della Cooperativa Extraliberi, che cura il progetto.

Come nasce Freedhome e qual è stato il percorso che ha portato all’apertura?
«Freedhome nasce da passate esperienze di temporary store a Torino per prodotti di economia carceraria. Il negozio è gestito da Extraliberi, capofila rispetto ad altre cooperative che producono nei carceri di tutta Italia. La nuova amministrazione ha confermato le scelte della precedente e il nostro negozio, da temporanea vetrina, è diventato un esercizio a tutti gli effetti, uno spazio della città alla cui realizzazione sono intervenuti diversi attori oltre a noi, come il provveditorato, la Garante per i diritti dei detenuti Monica Gallo e la Compagnia San Paolo».

Quali sono gli obiettivi del progetto?
«Sono fondamentalmente due: favorire la commercializzazione e la vendita delle eccellenze dell’economia carceraria e poi promuovere una cultura del lavoro in carcere, tema poco conosciuto verso cui facilmente si nutre diffidenza. Un punto vendita permette di esprimere il potenziale narrativo dell’economia carceraria e di promuovere un’altra visione del carcere, non solo luogo di ozio, ma anche spazio in cui si può cogliere l’opportunità di avere un posto di lavoro regolare».

Che cos’è Extraliberi e quali altre realtà possiamo trovare nel vostro negozio?
«Extraliberi è una cooperativa che lavora nelle carceri di Torino dal 2008 e si occupa di personalizzazione e della stampa di capi di abbigliamento. Tra le altre presenze posso nominare Banda Biscotti, che si occupa della lavorazione di pasticceria secca dal carcere di Verbania; le Malefatte sono invece borse che vengono prodotte nel carcere maschile di Venezia recuperando materiale di scarto, mentre alcune detenute del carcere di Lecce operano nel laboratorio Made in carcere. Dolci evasioni sono i prodotti che arrivano dal carcere di Siracusa, prevalentemente centrato sulla lavorazione di mandorle, Campo dei miracoli i taralli pugliesi prodotti da detenuti a Trani».

Qual è la partecipazione dei detenuti coinvolti e quale la reazione del pubblico?
«Una parte del pubblico, che potremmo definire di nicchia, conosce le nostre realtà ed è più attenta a sostenere certi tipi di produzione e di economia. La clientela nuova apprezza ciò che vendiamo, vogliamo infatti promuovere un lavoro di qualità per far emergere i nostri prodotti evitando di disperderci in un mercato più convenzionale. La maggior parte dei detenuti coglie il significato del lavoro che è occasione per impegnare il tempo, guadagnare denaro e iniziare a programmare il periodo in cui si ritornerà in libertà, specialmente in un luogo come il carcere, fortemente limitante per le opportunità che offre. La reazione a livello sociale va nella direzione della sicurezza e infatti il lavoro in carcere aiuta a combattere la recidiva. Per lo stesso fine sono molte le cooperative impegnate nel favorire un percorso di continuità tra il lavoro in carcere e la vita futura del detenuto».

 

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