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13 Dicembre 2016

Captain Fantastic, educare fuori dal mondo

Il nuovo film con Viggo Mortensen racconta il modello di vita alternativo di una famiglia americana lontana delle metropoli e dal consumismo

Stella Giorgio

Viggo Mortensen è Captain Fantastic

Viggo Mortensen è Captain Fantastic

Una famiglia legge libri attorno a un fuoco nelle sperdute foreste del Nord America, dove vive. Niente internet, niente supermercati, niente scuola. È la storia di Captain Fantastic del regista Matt Ross, appena uscito nelle sale.

SAPERE NON BASTA
Il padre – il “capitano fantastico” interpretato da Viggo Mortensen – dedica la sua vita all’educazione dei sei figli, con le giornate dei ragazzi scandite da intensi allenamenti fisici e mentali, battute di caccia, sessioni di meditazione, discussioni su saggi romani e suonate notturne.
Il suicidio della madre innesca però nel gruppo il desiderio di partecipare al funerale e di rendere onore alla sua volontà di essere cremata e non sepolta in un cimitero con previa liturgia cristiana. Dunque la brigata parte, a bordo di un vecchio pullman pieno di libri, alla scoperta delle metropoli americane e del consumismo che i ragazzi non conoscono e che comunque non riuscirà a corromperli.
L’equilibrio familiare viene rotto non solo da questa vicenda che inaugura il carattere da “road movie” della pellicola, ma anche dalla presa di coscienza e dall’opposizione al padre da parte di alcuni figli: «A parte quello che è scritto nei libri, io non so niente», dice il maggiore a papà Ben. Infatti, sebbene colti come filosofi, i ragazzi sembrano intrappolati nel locus amoenus in cui sono cresciuti e teneramente privi di competenze sociali.

RITORNO ALLA CIVILTÀ
L’idea di formazione alla Rousseau proposta da Ben risulta attraente e alternativa, ma sembra unicamente centrata proprio sulla figura del padre, sulle sue credenze e sui suoi valori più che sul processo formativo stesso.
È infatti difficile ritrovare nell’educazione dei sei figli il tentativo di “tirare fuori” l’autenticità e l’unicità di ciascuno di loro; piuttosto si ha la sensazione che i ragazzi vengano costantemente riempiti di nozioni e forzati a esprimere la propria opinione, con il risultato immediato di risultare insopportabilmente saccenti. Avete presente il compagno delle scuole medie che durante l’interrogazione alzava la mano per correggere la vostra barcollante risposta? La sensazione che si ha ascoltando la bambinetta che cita a memoria la Carta dei Diritti e poi espone il suo ammirevole punto di vista a riguardo è proprio quella.
Le fisionomie caratteriali dei personaggi dei figli risultano comunque poco definite. Maggiore spazio è dedicato al protagonista – maestro virtuoso che appare unicamente assorbito nel suo ruolo di padre – e al rifiuto canzonatorio del mondo dei consumi, raccontato con i classici cliché (la Coca Cola è acqua avvelenata, gli americani sono tutti grassi come ippopotami …).
Il rifiuto del modello paterno è incarnato nella figura di uno dei figli, ma è un’opposizione che si basa su tratti stereotipati del ragazzo più che su una reale introspezione nel personaggio e nelle sue ragioni; così il film ha nel complesso un carattere positivo e lineare, che intrattiene ma non stupisce. I conflitti si appiattiscono nell’ultima parte della pellicola senza particolari difficoltà e la famiglia crea un nuovo equilibrio passando per il compromesso tra i valori del padre e le reali esigenze dei figli.
Fu così che vissero per sempre felici e contenti, alternativi ma non troppo.

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Categorie: Cultura

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