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11 Aprile 2018

Asai, l’intercultura è un gioco stupendo

Maria, giovane insegnante di italiano per stranieri, racconta la sua esperienza all’interno dell’associazione, dove si impara in forma ludica

Michela Lopriore

Presente a Torino dal 1995, Asai – Associazione di Animazione Interculturale, risponde da sempre ai diversi bisogni del fenomeno migratorio. Tra le attività promosse vi sono i corsi di italiano rivolti a stranieri giovani e adulti, organizzati in più livelli in base alle competenze linguistiche di ognuno e alla scolarizzazione del paese d’origine. Ciò rientra in quelli che sono gli obiettivi dell’associazione, tra cui quello di attuare percorsi di integrazione e cittadinanza attiva e promuovere l’intercultura come risorsa di coesione sociale.
Per saperne di più abbiamo incontrato Maria, che da due anni collabora con l’Asai assistendo una classe di quindici alunni tra i 12 e 14 anni di varia nazionalità. Il tono della sua voce trasmette l’entusiasmo e la passione che caratterizzano la sua esperienza.

COME SONO STRUTTURATI I CORSI?
«Il nostro motto è Giocando si impara. I laboratori partono all’insegna del gioco e dell’intercultura e vertono su alcuni temi. Inizio sempre con quello dell’Identità, senza andare troppo nel profondo perché alcuni possono avere dei vissuti un po’ traumatici rispetto alla migrazione. Utilizziamo spesso un planisfero, così tutti vedono per la prima volta da dove provengono i compagni; ricordo il momento in cui la classe ha scoperto che l’Iran non è poi così distante dalla Cina: da quel giorno lo sguardo di Lisi nei confronti di Shahrzad è cambiato radicalmente. Un altro dei temi che tratto spesso riguarda Le emozioni, indispensabili quando si deve raccontare un’esperienza vissuta. Facciamo poi molte attività di gruppo, organizzando per esempio delle cacce al tesoro: ognuno ha un ruolo indispensabile, ma è necessario lavorare insieme per raggiungere l’obiettivo finale».

CHE RAPPORTO C’È TRA I RAGAZZI?
«C’è un rapporto di continua scoperta. Le classi sono composte da ragazzi di provenienza eterogenea e quello che è nato come laboratorio di italiano sì è trasformato velocemente in uno spazio plurilingue dove è più facile riconoscersi e costruire la propria identità linguistica, perché qui è valorizzata e condivisa con gli altri».

COM’È INVECE IL RAPPORTO CON GLI INSEGNANTI?
«Questo argomento apre un capitolo interessante. In Asai, a differenza che a scuola, i ragazzi sono rilassati, abbandonano ogni tipo di filtro perché sono in una condizione di apprendimento informale. Anche grazie all’approccio ludico sono portati a rilassarsi e a lasciare andare ogni tipo di difesa: grazie ai volontari abbiamo la possibilità di ripartire le classi, la situazione si fa più intima e quindi la relazione con gli insegnanti è più confidenziale. Le scuole hanno comunque un rapporto consolidato con Asai: grazie al progetto Frequenza 200 a Torino, finanziato dalla Fondazione WeWorld, ho infatti l’opportunità di avere un rapporto diretto con le scuole, parlo coi professori scambiando informazioni relative ai ragazzi e a volte cerchiamo di stilare un programma personalizzato».

CHE COSA DIRESTI A CHI VOLESSE FARE VOLONTARIATO IN QUESTI CORSI?
«Direi di cercare di abbandonare le nozioni grammaticali che ci sono state inculcate durante il nostro percorso scolastico: nonostante la scuola italiana abbia fatto dei progressi, nel senso che si è maggiormente uniformata a quelle europee e a una pedagogia di un certo tipo, è ancora tanto ancorata alla grammatica, alle “regole”. Credo invece che debba lasciare più spazio agli aspetti comunicativi della lingua, osare e tenere presente che si impara di più quando una cosa la si fa con piacere, divertendosi».

 

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Categorie: Intercultura

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