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9 Maggio 2018

Ex Osi-Ghia: rovine di un presente post-industriale

Ci siamo avventurati nel complesso di via Montefeltro per scuotere le coscienze attraverso immagini e sensazioni, testimonianza tangibile del degrado di un gigante dimenticato

Mario Acciaro

Ex Osi-Ghia interno capannone in rovina con glicine

L’interno dei capannoni dell’ex Osi-Ghia (foto di Federico Mereu)

Negli ultimi quarant’anni Torino ha intrapreso un lento e graduale processo di transizione con l’intento di trasformare l’anima della città. Un tempo baluardo della produzione industriale, la città ha subito cambiamenti profondi che ne hanno modificato l’essenza stessa, consegnandoci oggi un moderno polo universitario e culturale.
Le rovine del passato, però, sono ancora visibili qua e là e, laddove non sia stato predisposto un piano di riqualificazione, consegnano vaste porzioni di territorio al degrado e all’incuria. Emblematico il caso dell’ex Osi-Ghia: un complesso industriale di proporzioni bibliche, pizzicato fra via Montefeltro e il cavalcavia di corso Bramante.

IL PASSATO
Fondate nel 1960 da Arrigo Olivetti e Luigi Segre, le Officine Stampaggi Industriali rappresentarono un’eccellenza tecnologica in campo automobilistico, entrando a buon diritto nella costellazione delle imprese legate alla Fiat.
Oggi, lontani dai fasti del boom economico, gli edifici un tempo brulicanti di operai e ingegneri vivono un ventennio di abbandono che segna in profondità la zona adiacente al Mauriziano.

IL PRESENTE
Attraverso il cancello arrugginito si accede all’atrio dell’edificio. Il pavimento, tappezzato di vetri rotti e detriti, impone da subito un silenzio tombale, rotto solo dal rumore scricchiolante dei nostri passi che rimbombano negli ampi spazi. Sulla sinistra un primo ambiente, colonizzato dalla vegetazione che cresce in enormi vasche, riceve la timida luce primaverile attraverso il tetto in rovina. Ogni rumore causa un sussulto mentre ci avviamo lungo i corridoi abbandonati.
Sulla destra si apre un lungo colonnato che rapisce l’occhio per qualche istante. Ovunque vecchi cartelli e carcasse di attrezzature industriali testimoniano l’originaria destinazione del luogo. Un glicine enorme si affaccia sulla sommità del muro perimetrale di questa cattedrale in rovina e le infiorescenze violacee sfidano il grigiore del cielo. Lungo le navate ampie ogni muro è impreziosito da murales sgargianti di autori ignoti, capaci con la loro arte di dare dignità anche al più oscuro degli anfratti. Un vecchio calendario fermo al dicembre del ‘99 resiste appeso al muro come se il tempo si fosse fermato di colpo, mentre su una bacheca sono ancora visibili i turni di lavoro con i nomi degli operai.
Abbandonata la linea di produzione ci avviamo nella zona degli uffici. Attraverso una vetrata frantumata ci affacciamo sul cavalcavia dove il fragore dei passanti stona con il silenzio sordo degli ambienti. Il tetto pericolante ci impone una particolare attenzione mentre percorriamo le stanze vuote. Mucchi di abiti sparsi ovunque raccontano la seconda vita di questo luogo, popolato da occasionali inquilini incuranti del degrado che li circonda. In una stanza troviamo un accampamento improvvisato, provvidenziale rifugio per senzatetto costretti a vivere ai margini della società.

UN INTERVENTO NECESSARIO
Lasciandoci questo luogo alle spalle non possiamo fare a meno di sottolineare la necessità di un intervento di riqualificazione, ormai improrogabile, che restituisca dignità alla zona riconsegnando l’ex Osi-Ghia alla cittadinanza e strappandola dalle grinfie del degrado.
La centralità del complesso rende l’intervento ancora più urgente e le amministrazioni presenti e future dovrebbero iniziare a considerare questo luogo come un’opportunità invece che come un problema.

 

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