Home » Cultura » Quando la fotografia diventa Pop Art

10 Ottobre 2018

Quando la fotografia diventa Pop Art

In mostra a Camera 150 opere che hanno caratterizzato il movimento artistico esploso negli anni ’60 e non manca la Marilyn di Andy Warhol

Michela Lopriore

Le serigrafie Marylin di Andy Warhol

Le serigrafie Marilyn di Andy Warhol

Focalizzarsi su oggetti, miti e linguaggi della società dei consumi, superando le convenzioni artistiche del passato e includendo, invece, l’immaginario della cultura popolare. È l’obiettivo della Pop Art, corrente artistica nata negli anni ’60 negli Stati Uniti e in Europa, a Torino protagonista della mostra Camera Pop. La fotografia nella Pop Art di Warhol, Schifano & Co., a Camera – Centro Italiano per la fotografia fino al 13 gennaio.
L’esposizione, che ospita oltre 150 immagini, si divide in sei sezioni caratterizzate ognuna da un tema particolare e un vocabolo significativo. In ogni sala vi sono opere diverse realizzate con le tecniche più disparate, ma il riferimento è sempre il mezzo fotografico, che per gli artisti della pop art è stato non solo fonte di ispirazione, ma un efficace strumento di lavoro: basta pensare alle famosissime serigrafie Marilyn di Andy Warhol, presenti alla mostra e tratte, appunto, da una fotografia.

POPULAR
La prima sezione si chiama Popular e presenta le immagini dei protagonisti della scena artistica Pop, quella della Swinging London, della Hollywood sul Tevere e di New York, da Andy Warhol a Joe Tilson, da Mario Schifano a Franco Angeli.
Sulla parete frontale troviamo quella che da tutti è considerata la prima opera Pop della storia, ovvero Just what is it that make today’s homes so different so appealing? (1956) di Richard Hamilton, dove sono rappresentate tutte le figure della società dei consumi del tempo: la televisione, un aspirapolvere, un nastro magnetico, un bodybuilder e una pin up.

CELEBRITÀ E OGGETTI DI USO COMUNE
La seconda sala, denominata Glamourous, è dedicata ai personaggi popolari: oltre al trittico di Gerald Laing raffigurante Brigitte Bardot e a quello che da molti è considerato il capolavoro dell’arte della seconda metà del XX secolo – le dieci Marilyn di Warhol – campeggiano in questa sezione il ritratto di Malcom X e la celebre fotografia di Joe Wilson che ritrae il giocatore di football Tommie Smith col pugno alzato durante la consegna della medaglia d’oro alle Olimpiadi di Città del Messico.
La terza sezione, chiamata Mass=Produced, sottolinea un altro grande tema del linguaggio Pop: gli oggetti di uso comune. Tra questi, l’automobile, status symbol per eccellenza nonché massima espressione della diffusione del prodotto in serie. In Divertiamoci (1966) di Rotella, la cui immagine è tratta da una fotografia e poi riprodotta con il procedimento di emulsione su tela, vediamo la realtà ritratta dal finestrino di un’automobile.

UGO MULAS E CALENDARIO PIRELLI
Young, la quarta sala, è dedicata interamente al fotografo italiano Ugo Mulas, che a metà anni ‘60 parte per gli Stati Uniti perché affascinato dalla nuova arte americana: a lui si devono gli straordinari scatti che ritraggono Andy Warhol a lavoro nella sua Factory, rappresentandone il clima e svelandone al contempo i complessi meccanismi che regolavano l’idea di riproduzione e di fotografia warholiane.
La quinta sezione rende protagonista un altro oggetto di culto degli anni ’60 e ’70, ovvero il calendario Pirelli, la cui edizione del 1973 è destinata a passare alla storia grazie agli scatti di Allen Jones e Brian Duffy, con le loro figure femminili a metà fra realtà e finzione, fotografia e pittura. A queste immagini fa da contraltare l’immagine semplice di Ragazza che cammina (1966) di Michelangelo Pistoletto, alla cui base vi è uno specchio grazie al quale lo spettatore entra direttamente a far parte dell’opera.

MACHINE-LIKE
L’ultima sala espone lavori di forte impatto visivo come Futurismo rivisitato a colori (1967) di Schifano, dove la fotografia serve da spunto iconografico, o l’opera di Drexler Is it true what thay say about Dixie? (1966), una rilettura simbolica del razzismo. Ma a imporsi sono le iconiche Electric chairs (1971) di Warhol dove la fotografia è ben riconoscibile ma l’intervento pittorico è estremamente presente.
Ed è ancora l’artista americano a concludere la mostra attraverso il suo strumento prediletto, la Polaroid, qui esposta con dedica al grande fotografo Mimmo Jodice, che ritrae gli esponenti del jet set del tempo.

 

Tag: , , , ,

Categorie: Cultura

Lascia un commento