Home » Cultura » VR Free, quando la realtà virtuale abbatte i muri del carcere

29 Maggio 2019

VR Free, quando la realtà virtuale abbatte i muri del carcere

Un documentario particolare mostra gli aspetti quotidiani della detenzione nell’istituto Lorusso Cotugno di Torino

Giovanni Mauriello

VR Free racconta in realtà aumentata la vita nel carcere di Torino

VR Free racconta in realtà virtuale la vita nel carcere di Torino

Muri fisici e muri mentali. In entrambi i casi, il carcere pare sempre essere una realtà nebulosa, inaccessibile, mai perfettamente allineata col resto della società. Muri che diventano barriere e barriere che diventano stereotipi. Questi ultimi, però, sono fatti per essere abbattuti, e anche nel caso del carcere c’è qualcuno che si è preso la briga di farlo.
Siamo andati alla sede dell’Infopoint di Emergency in corso Valdocco, dove sono stati proiettati alcuni estratti dell’ultimo lavoro del regista iraniano Milad Tangshir, VR Free (We Are Free) – girato nella Casa Circondariale Lorusso Cotugno di Torino e prodotto da Valentina Noya dell’Associazione Museo Nazionale del Cinema – e gli abbiamo posto alcune domande.

Il suo, a dire il vero, non è un semplice documentario. Ci parli anzitutto della scelta di girarlo in realtà virtuale.
«La decisione di utilizzare la tecnica del virtual reality, a monte, aveva l’obiettivo di creare un’esperienza davvero immersiva nel contesto carcerario. Il fatto che lo spettatore debba indossare un visore e che possa osservare l’ambiente come se fosse fisicamente lì è per me di una forza incredibile e per questo ci ho tenuto che fosse realizzato con questa tecnica. Qualche limite c’è perché è un metodo ancora in continua evoluzione, ma io non ne sono stato minimamente danneggiato perché sono arrivato pronto alla fase delle riprese: per mesi e mesi ho visto tantissimi film girati in VR così da avere le idee chiare su cosa mi piacesse e cosa no. Del risultato sono molto soddisfatto».

Cosa ci dice invece del contesto? Perché proprio il carcere?
«La detenzione è una condizione interessante perché se ne parla poco e soprattutto è spesso inaccessibile. C’era una duplice intenzione: portare le persone in carcere, far vedere loro com’è, e il medium che abbiamo usato in questo ha aiutato molto, ma anche portare i detenuti fuori dal carcere, dando anche a loro dei visori e mostrando loro delle scene girate al di là delle mura; ad alcuni abbiamo fatto “vivere” una partita di calcio, ad altri un’immersione in acqua, tutte esperienze che per noi possono sembrare banali ma che invece a loro mancano molto. L’importante era calibrare bene il punto di vista e per farlo ho studiato attentamente il posizionamento della camera. Certe volte è all’altezza dell’occhio e lo spettatore ha l’impressione di essere lì a fumare o a mangiare coi detenuti, altre volte invece la prospettiva è più esterna, come se fossi un esploratore invisibile».

Le chiedo a questo punto di concludere l’intervista condividendo con noi ciò che questa esperienza le ha lasciato.
«Anzitutto mi ha lasciato la soddisfazione di essere riuscito a condividere con la cittadinanza un pezzo di realtà che spesso viene marginalizzato, immaginato ma mai davvero conosciuto. Per me era l’obiettivo principale e sento di averlo raggiunto. Poi chiaramente l’esperienza è stata totalizzante e molto preziosa, mi porterò dietro l’energia e le sensazioni che quegli spazi lì mi hanno trasmesso. Se non vai personalmente non puoi capirlo».

 

Tag: , , , ,

Categorie: Cultura

Lascia un commento