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28 Maggio 2019

L’incubo della centrale di Trino Vercellese

Un approfondimento sull’impianto elettronucleare piemontese tra passato, presente e un futuro pieno di incognite

Luca Ferrua

La centrale di Trino Vercellese

La centrale di Trino Vercellese (foto di G. Sabini)

Recentemente abbiamo raccontato la nostra visita alla centrale Enrico Fermi, l’impianto nucleare di Trino Vercellese.
Prima del tour però l’ingegnere Davide Galli, posto a capo dello smantellamento di questo gigante tecnologico per l’azienda incaricata, la Sorin, ci ha brevemente illustrato le sue origini, il funzionamento e i progetti di smantellamento, tra dubbi e grandi speranze.

LE ORIGINI
I primi reattori nucleari sperimentali risalgono agli anni ’40, ma bisognerà aspettare due bombardamenti atomici e la conferenza Atomi per la pace del 1955 perché si inizi a parlare di un uso pacifico dell’energia nucleare.
È così che l’Italia negli anni ’60 decide di realizzare tre centrali elettronucleari basate su altrettanti modelli di reattori: quella di Latina raffreddata con anidride carbonica, quella di Garigliano (CE) con un reattore ad acqua bollente e infine Trino, che con il suo reattore ad acqua pressurizzata al momento della costruzione è la centrale più potente al mondo.
Nato ad opera della Edison, si tratta di un impianto rimasto attivo per oltre dieci anni, durante i quali ha prodotto 13 volte il fabbisogno elettrico della provincia di Vercelli, consumando quasi cinque tonnellate di uranio.

DA IERI…
Fondamentalmente, una volta avviato, l’impianto non veniva arrestato – guasti esclusi – fintanto che non avesse consumato un terzo del suo combustibile: a quel punto si approfittava della sostituzione dell’uranio per eseguire le varie misurazioni e manutenzioni.
Durante il periodo di attività funzionava fondamentalmente come una qualsiasi centrale termoelettrica: la differenza fondamentale sta nel fatto che il combustibile era l’uranio arricchito. L’acqua veniva fatta scorrere attraverso il nucleo del reattore che la riscaldava, qui si trasformava in vapore che veniva convogliato nelle turbine, le quali azionandosi trasferivano energia all’alternatore che generava a sua volta energia elettrica.
A seguito però del disastro di Cernobyl, nel 1987 la centrale caricò il suo ultimo ciclo di combustibile (mai consumato) e si spense definitivamente.

A OGGI…
Sorse però a questo punto un problema. Le centrali nucleari infatti vennero costruite senza un progetto di decommissioning (smantellamento), il tutto nonostante la loro aspettativa di vita media fosse di quarant’anni a causa del flusso neutronico in grado di rendere fragile il materiale che ha luogo durante la fissione nucleare.
All’inizio si optò per la custodia protettiva passiva, una decisione tutt’altro che risolutiva che prevedeva l’isolamento della centrale fino al decadimento radioattivo (centinaia di anni), ma nel 1999 venne proposto un piano di smantellamento. C’è voluto un decennio perché la Sogin ottenesse l’autorizzazione a partire con la dismissione vera e propria, ma a settembre 2015 tutto il combustibile del nocciolo è stato allontanato definitivamente.

UN FUTURO INCERTO
Ciò che ancora dev’essere trattato è il vessel, il recipiente in pressione dentro il quale si trova il nocciolo: a seguito della fissione esso si è attivato diventando un metallo radioattivo, che per essere tagliato in sicurezza richiede operazioni sott’acqua che secondo le simulazioni richiederanno almeno altri 5 anni.
La società prevede di concludere i lavori per il 2030, ma nonostante ciò non sono ancora stati resi pubblici i luoghi idonei al deposito nazionale (per rifiuti radioattivi a bassa e media attività), né è stato individuato alcun deposito geologico per immagazzinare definitivamente le scorie nucleari.

 

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Categorie: Ambiente

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