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30 Luglio 2019

Hamburg, un romanzo da ricordare

Abbiamo intervistato Marco Lupo, libraio torinese che ha raccontato la seconda guerra mondiale dal punto di vista di chi in genere non ha voce

Fabio Gusella

Hamburg

L’immagine di copertina di Hamburg. La sabbia del tempo scomparso

Per sapere che cosa custodisce il suo romanzo d’esordio Hamburg. La sabbia del tempo scomparso  (il Saggiatore, 2018), recentemente insignito del Premio Campiello Opera Prima 2019, abbiamo posto alcune domande all’autore Marco Lupo. Nato in Germania, poi trasferitosi in Italia, oggi ha 36 anni e vive a Torino, città in cui lavora come libraio fra gli scaffali della Libreria Internazionale Luxemburg.
Veniamo al romanzo, anzi, al metaromanzo. Hamburg è infatti costituito da più libri, o frammenti di libri, scritti da un autore senza nome, del quale sembra sopravvissuta solo la sigla: “M.D.”. Questi brandelli di memoria finiscono fra le mani di un misterioso gruppo di lettura, i cui membri si danno appuntamento settimanalmente al 229 di Rue Saint-Jacques per condividere i propri scritti. Il primo libro di M.D. a essere letto nel gruppo si intitola appunto Hamburg, in cui il lettore si ritrova testimone del “Feuersturm” del 1943, la “tempesta di fuoco” scatenata dai bombardieri alleati sulla città di Amburgo. I frammenti successivi raccontano invece il dopoguerra, la titanica ricostruzione compiuta dai pochi “salvati” nonostante i molti “sommersi”.
Di fronte ai nostri occhi comincia così a snocciolarsi un labirinto di lettere, diari e documenti, che riesce miracolosamente a farci “ricordare”, pur non avendoli vissuti, momenti lunghi come anni e anni lunghi come momenti. Questo sforzo mnemonico impossibile riesce non tanto grazie alla fredda memoria dello storico, quanto alla vivida immaginazione del superstite, dello scrittore, o di entrambi. Per cucire gli innumerevoli frammenti, per ricostruire le macerie del passato, interviene fin dall’inizio la significativa opera del libraio. Ecco dunque che le due “patrie” di Marco Lupo si ricongiungono nel romanzo: la libreria da una parte, la Germania dall’altra, dando vita a qualcosa di inedito e, allo stesso tempo, di “ricordato”.
La parola all’autore.

Che cos’è Hamburg?
«È il resoconto parziale di un’identità ferita: racconta, assembla, estorce e manifesta il coro di voci dei testimoni del Feuersturm; è un tentativo di saldare il tabù alla sua rimozione, il senso di colpa alle immagini delle città sventrate, trasformate in macerie, crateri. Un bambino nato sei mesi prima dell’ecatombe reagisce al vuoto della topografia e al suono ambiguo del vento e lo fa diventando uno scrittore. Anni dopo una parte delle sue opere viene ritrovata e letta da un gruppo di lettori affamati: le storie dei bombardamenti alleati, la ricostruzione delle città martoriate, gli italiani in viaggio sui treni del nord, il memoriale dello scrittore affetto da demenza senile, le immagini dei dissidenti tedeschi uccisi nel carcere di Moabit, della macchina nazista come livella atroce. La lingua di Hamburg è dedicata a coloro che non sono stati raccontati».

Qual è l’aspetto che più ama del mestiere del libraio e di quello dello scrittore?
«Il ritorno del lettore, quando ha letto ciò che gli ho consigliato. Lo preferisco a molti altri momenti. Scrivere non è un mestiere, non può più esserlo. Per me rappresenta una parentesi tra l’alba e l’inizio del giorno».

In una recente intervista ha parlato di “letteratura coraggiosa”? Quando la letteratura mostra coraggio?
«Entrare a piedi uniti negli abissi, consegnarsi alle parole del giovane impiegato delle Assicurazioni Generali, un libro dev’essere un’ascia per rompere il ghiaccio che è dentro di noi. La letteratura è coraggiosa quando svela che il bagliore nella notte è soltanto un lampo e quando racconta le origini del fenomeno atmosferico. Ogni tempo ha avuto i suoi lettori e scrittori e alcuni sono stati più coraggiosi di altri. Mi appello a questi ultimi».

Quale consiglio darebbe, da scrittore, ai nostri giovani lettori e soprattutto a coloro che aspirano a scrivere oggi?
«Consiglio di sporcarsi la vista sulle vite dei folli, degli eremiti, dei viaggiatori senza speranza, dei carcerati rinchiusi in una cella di isolamento, delle pittrici arrestate per eresia, dei cantori a cui hanno mozzato la lingua. Consiglio abbuffate di pagine vergate secoli fa, in una stanza non riscaldata, davanti a un pezzo di carta prezioso. Consiglio viaggi nel futuro, nella mente di autori geniali, capaci di unire le teorie della fisica alla prosa del loro tempo. Consiglio i romanzi che non accarezzano il lettore, i racconti che ci privano dell’aria, le apnee dei narratori subacquei. Consiglio, soprattutto, di frequentare i librai».

 

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