Home » Cultura » El Hoyo – l’infernale dramma dell’egoismo

29 Novembre 2019

El Hoyo – l’infernale dramma dell’egoismo

La recensione del film che più di ogni altro ha catturato la nostra attenzione durante questa edizione del TFF

Luca Ferrua

Iván Massagué in El hoyo

Questa settimana al Torino Film Festival abbiamo potuto assistere a diverse anteprime, partendo da Greener Grass, una surreale commedia sull’ipocrisia perbenista a metà tra Edward Mani di forbice e Desperate Housewives, fino al britannico Beats di Brian Welsh che ha vinto il premio Hamilton. Il titolo che però ci ha colpiti di più è stato sicuramente El Hoyo, un thriller talmente disturbante e metaforico da tenerti attaccato alla poltrona per tutti i suoi 94 minuti.

ANALISI DI UN HORROR BASCO
Al mondo esistono solo tre tipi di persone: quelli che stanno in alto, quelli che stanno in basso e quelli che cadono. Siamo in una gigantesca cucina, dove un numero interminabile di cuochi sta preparando un lussuoso banchetto curato in ogni dettaglio sotto l’occhio vigile di un anziano e severo maître.
Subito però l’assordante brusio del pentolame si spegne e i nostri occhi si riaprono assieme a quelli del protagonista Goreng (Ivan Massagué) all’interno di una stanza grigia e spoglia, dalle pareti in cemento con due letti – uno per lui e uno per il vecchio Trimagasi, suo compagno di cella – un lavabo e un enorme buco al centro di pavimento e soffitto. Questo è il 33simo livello de La Fossa (el hoyo in spagnolo), un luogo che ambisce a suscitare “solidarietà spontanea” in cui Goreng ha accettato di entrare per sei mesi armato solo di una copia del Don Chisciotte in cambio di un titolo accademico. Qui vigono poche ma semplici regole: due persone per piano, una piattaforma carica di cibo li attraversa tutti e una volta al mese si cambia livello. Se stai in cima vivi, se stai in basso sopravvivi.
Quella che inizia come un’esperienza di resilienza morale si trasforma ben presto in un doloroso e tragico viaggio introspettivo fatto di egoismo, violenza, solidarietà e redenzione.

UN GRATTACIELO DANTESCO DI SATIRA IDEOLOGICA
Senza entrare troppo nel dettaglio della trama – il film verrà distribuito da Netflix – l’opera prima del regista basco Galder Gaztelu-Urrutia si pone a metà tra Orwell e Beckett.
Si tratta infatti di una distopica allegoria del mondo moderno in cui il nostro eroe, un dantesco Don Chisciotte accompagnato da diverse versioni di Sancho Panza, con tutti i difetti e le colpe della sua natura umana attraversa un infinito numero di gironi infernali cercando di trasmettere un messaggio di solidarietà rappresentato ironicamente e simbolicamente con una panna cotta.
La pellicola è infatti permeata di metafore: dal numero di livelli della fossa – 333, chiaro riferimento dantesco e satanico – fino alla critica ideologica e politica in cui capitalismo e socialismo non sono altro che versioni alternative dell’egoismo crudo e puro che il regista mostra attraverso sferzanti dialoghi, violenza e fluidi corporei. L’intero film ruota inoltre attorno al libero arbitrio: una volontà superiore – qui chiamata Sistema – stabilisce casualmente il livello di ognuno offrendo cibo sufficiente a sfamare tutti se usato con cognizione, ma lascia agli uomini la libertà di agire, scatenando così conseguenze che non possono essere definite in nessun altro modo se non con la parola-chiave del film: ovvie.

 

Tag: , , , ,

Categorie: Cultura

Lascia un commento