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3 Marzo 2020

Telelavoro e smartworking ai tempi del Coronavirus

Come un’epidemia virale ci ha fatto (ri)scoprire un approccio diverso al lavoro ancora poco utilizzato nel nostro paese

Valeria Guardo

Tavolo di legno con portatile, piantina, smartphone e mano su quaderno

Il Coronavirus ha favorito l’aumento di telelavoro e smartworking

La rapida diffusione di casi di contagi da Covid-19, che ha visto colpite soprattutto le regioni del Nord Italia dal 18 febbraio scorso, ha portato a uno stop generalizzato di molte attività, in primis quelle didattiche. Mentre i settori turistico e culturale risultano essere quelli maggiormente toccati dall’emergenza sanitaria, la pubblica amministrazione così come molte aziende hanno deciso di garantire i loro servizi, affidandosi a due sistemi lavorativi molto diffusi in Nord Europa e Stati Uniti ma ancora poco praticati nel nostro paese: il telelavoro e lo smartworking.
Spesso si tende a confondere questi termini, oppure ad associarli solo alla libera professione. Il motivo di tale incertezza è probabilmente dovuto alla loro scarsa diffusione in Italia. L’impostazione di entrambi entra infatti in conflitto con una visione stereotipata del lavoro subordinato ben radicata nella nostra società. A questo poi dobbiamo aggiungere una sostanziale sfiducia nei confronti della tecnologia per quanto riguarda la trasmissione di dati importanti.

TELELAVORO, DI COSA SI TRATTA?
Come da definizione, il telelavoro consiste nell’espletamento di una prestazione lavorativa a distanza, usando sistemi telematici di comunicazione. Si può trattare di lavoro a domicilio, quindi realizzabile da casa mediante l’uso di un computer collegato alla rete aziendale tramite linea telefonica o un altro sistema di trasferimento dati, oppure da centro satellite quando l’attività lavorativa è svolta presso una filiale dell’azienda. Le modalità di telelavoro però non si fermano alle due appena enunciate, dipendendo esso non solo dal luogo fisico di svolgimento ma anche dai sistemi tecnologici utilizzati.
Il telelavoro prevede lo svolgersi della mansione per un periodo di tempo più o meno lungo, valutabile a seconda dei casi. Sono inoltre previsti orari di reperibilità che coincidono con quelli d’ufficio e la mole di lavoro giornaliera deve essere concordata con i superiori: per questo motivo è importante che il dipendente sia fisicamente presente in azienda alcuni giorni a settimana.

SMARTWORKING: UN DIVERSO APPROCCIO AL LAVORO
La definizione di smartworking invece è quella che più si avvicina all’idea che tutti noi abbiamo di lavoro flessibile (“agile”, secondo la versione italiana del termine). Si tratta sempre di impiego subordinato, anche se il concetto viene qui rivisto e assimilato sempre più a quello di collaborazione. Lo smartworking è di fatto un nuovo modo di approcciarsi al lavoro all’interno di un’organizzazione, secondo elementi chiave che vanno dalla totale fiducia reciproca tra manager e dipendente, il cui lavoro non è più costantemente monitorato, alla radicale riorganizzazione dell’ambiente lavorativo, che va al di là delle quattro mura dell’ufficio: il lavoratore infatti può svolgere le proprie mansioni senza vincoli di orario da casa, da una biblioteca o da qualunque luogo desideri utilizzando strumentazioni che consentano di lavorare da remoto (pc portatili, tablet e smartphone).
Il centro di tale approccio è quindi la persona: obiettivi personali e professionali dell’individuo convergono con quelli aziendali, in un unico modus operandi che garantisce maggiore produttività. Inoltre, libertà di azione e fiducia sono elementi che responsabilizzano il lavoratore stesso e lo rendono “proprietario del proprio lavoro”.

VANTAGGI E SVANTAGGI
Viste definizioni e differenze tra le due modalità, veniamo ora ai loro lati positivi e negativi.
Il primo vantaggio è senza dubbio la flessibilità di orario, vero più per lo smartworking che non per il telelavoro, che abbiamo visto essere vincolato agli orari di ufficio. La possibilità di lavorare da dove si vuole è poi molto importante per riuscire a conciliare soprattutto gli impegni familiari. Aspetto non da poco è una maggiore motivazione professionale (soprattutto per lo smartworker) derivante dal rapporto di fiducia con il datore di lavoro, con cui c’è una condivisione degli obiettivi. Infine, la riduzione degli spostamenti, che a sua volta porta altre conseguenze positive: ad esempio minori emissioni di sostanze inquinanti, una diminuzione dell’esodo di risorse umane da zone marginali a centri più sviluppati e, in casi come quello che stiamo vivendo, il contenimento dei contagi in particolari situazioni sanitarie.
Parlando di svantaggi, è certo che il lavoro agile, normato ai sensi della Legge 81/2017, prevede una minima garanzia sulla sicurezza del dipendente ma non una specifica sanzioni per il mancato rispetto di tale obbligo da parte del datore di lavoro.

 

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Categorie: Lavoro

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