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22 Aprile 2020

Vita da rider, quando la classe operaia va in bicicletta

«Le persone ti guardano come se fossi inferiore a loro»: un ex ciclofattorino racconta la propria esperienza in un lavoro considerato di serie B

Vincenza Di Lecce

Rider in bici visto di schiena con scatola cubica sulle spalle

I rider sono spesso visti come lavoratori di serie B

Ci sono giorni in cui una bella pizza sul divano è tutto quello che ci vuole. Non si può uscire, quindi si ordina del cibo a domicilio. Possibilmente con una di quelle app che mettono a disposizione i propri rider: ciclofattorini veloci ed efficaci, indispensabili nelle fredde e piovose serate invernali ma anche, lo scopriamo adesso, nei momenti di emergenza sanitaria.
Il loro lavoro però non è considerato come gli altri e lo confermano le sempre numerose proteste dei rider che reclamano ormai da tempo più diritti, più tutele e più sicurezza per la “classe operaia in bicicletta”.

UN LAVORO DIFFICILE…
Claudio è un ragazzo straniero che studia a Torino ormai da tre anni. Il suo è un nome di fantasia, perché non vuole essere riconosciuto. Ha lavorato come rider fino a un paio di mesi fa quando, stanco, ha deciso di guadagnarsi da vivere in altro modo: «Ho comprato una bici molto economica e all’inizio mi sembrava un lavoro conveniente, poi ho capito che non era così. Per esempio, per una distanza da Piazza Castello fino alla fine di corso Francia si guadagna molto poco: 5 €, che con la trattenuta del 20% faceva 3,3 € per mezz’ora di viaggio. Poi – continua – quando giravo con la bici per Torino, lo sguardo della gente mi metteva in difficoltà. Tutti ti guardano come una persona inferiore, che nella vita non sa fare nient’altro che pedalare».
Eppure, a guadagnarsi da vivere consegnando cibo su due ruote sono proprio in tanti: «Per cominciare, fai la registrazione con l’azienda, scarichi l’app e poi con essa puoi prenotare le ore. Soprattutto all’inizio – continua Claudio – per me era molto difficile trovare delle ore disponibili, perché erano davvero tante le persone che lavoravano e si prenotavano in qualsiasi momento della giornata».

…E PERICOLOSO
Fare il rider è difficile che, con le condizioni metereologiche avverse, diventa anche pericoloso: «Quando piove la strada è molto scivolosa e il rischio di fare incidente e far male a me stesso e anche agli altri è alto – racconta Claudio – per pochi soldi, poi magari dovevo spenderne il doppio per pagare i danni».
La pioggia non è però l’unica nemica dei rider: «A Torino – continua – le piste ciclabili che ci sono non coprono tutta la città, quindi bisogna pedalare per strada o sul marciapiede. Per strada il rischio di fare incidente con le auto è sempre molto alto, sul marciapiede corri invece sempre il rischio di mettere sotto qualche pedone».

LE MULTE
A Torino, lo scorso febbraio, alcuni rider sono stati multati per mancanza di caschi e luci nonostante, proprio dallo stesso mese, siano entrate in vigore nuove norme nazionali specifiche sulla salute e sicurezza nel settore. «Non conosco le nuovissime direttive – commenta Claudio – ma so che alcune aziende davano caschi e luci anche prima. Se hanno reso questa cosa obbligatoria sono molto d’accordo perché è un passo verso la sicurezza dei rider». Ma, ammette «se, nonostante li abbiano, i rider non usano i kit di sicurezza, allora forse la multa è giusta. Non mi è mai successo di essere multato, la mia bici era sempre in buone condizioni ma il casco no, non lo mettevo quasi mai». Dopo qualche istante di riflessione aggiunge: «Però penso anche che sia un po’ una cattiveria. Se una persona lavora in questo ambiente, in cui si guadagna poco e con molta difficoltà, una multa potrebbe solo peggiorare le condizioni di quelle persone. Forse sarebbe giusto avvisare, fare richiami, prima di multare».

UN LAVORO DI SERIE B?
Un lavoro indispensabile pure ai tempi del Coronavirus. «Non è assolutamente giusto. I rider sono costantemente a contatto con la gente – commenta Claudio – e non è detto che siano dotati dei dispositivi che servono per proteggersi. Credo che il governo avrebbe dovuto aiutare anche loro, è un lavoro come tutti gli altri». Invece i ciclofattorini sono rimasti esclusi dal bonus di 600 euro previsto dal decreto per sostenere autonomi e partite Iva.
A febbraio scorso è in realtà arrivata per il food delivery una grande conquista: l’obbligo assicurativo per i rider, con istruzioni per le imprese delle consegne messe nero su bianco da una nota dell’Inail. La norma obbliga le aziende a versare i contributi Inail e a fornire i dispositivi di protezione individuale, come casco e luci.
Ma la strada da percorrere (e da pedalare) sembra ancora lunga.

 

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Categorie: Lavoro

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